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306 ATTO SECONDO
Ma forse con donn’Angiola tacere io lo vedrei;

Chi sa ch’egli non m’abbia a ragionar di lei?
Dunque o deggio esser sola, o a lui negar l’accesso.
No, no, meglio è che al Conte venir non sia permesso.
Del marito ai comandi sempre sarò qual fui;
Ritornerà il Marchese, potrà parlar con lui.
Forse se qualcun altro bramasse visitarmi,
Potrei senza il marito tal libertà pigliarmi;
Ma il Conte più d’ogn’altro altrui può dar sospetto,
Ed io gelosamente serbo l’onore in petto.
Correre la risposta lasciam che gli ho mandata.
Non tentiam la passione che un giorno ho superata.
La ragion, la prudenza, sostenga il mio decoro,
La domestica pace è il massimo tesoro;
E a costo di un rammarico sagrificar conviene
Un piacer passaggiero per posseder tal bene.

SCENA II.

Regina e detta; poi il Conte.

Regina. Signora, io non ne ho colpa.

Marchesa.   Di che?
Regina.   Non so che dire:
Per forza il signor Conte ha voluto venire.
Marchesa. Per forza?
Regina.   Sì, signora.
Conte.   Vi domando perdono,
Ardito a questo segno, signora mia, non sono.
Prosdocimo mi ha detto, che voi mi aspettavate.
Marchesa. Prosdocimo è un ribaldo. Donde veniste, andate.
Conte. A un cavalier d’onore, perdonate, Marchesa,
Questo vil trattamento è una soverchia offesa.
Per dir la verità, venir non ho cercato;
Ma poichè qua mi trovo, il ciel mi avrà mandato.