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342 ATTO QUARTO

SCENA VI.

La Marchesa sola.

Riparo all’onor mio da’ miei congiunti aspetto.

Chiamerò mio cugino; gli scriverò un viglietto.
(siede per scrivere)
Ah, nel vergare il foglio mi assale un fier spavento:
La vita del mio sposo dovrò porre in cimento?
Ah no, morir piuttosto... Ma dell’onor mi priva;
Ma la mia fama oscura... Che si ha da far? Si scriva.
(scrive)
Cugin. Sono insultata dal mio consorte ingrato...
Ma la cagion proviene da un traditor spietato.
Contro di lui si scriva; svelisi don Fernando,
E de’ suoi tradimenti dicasi il come e il quando.
(straccia il foglio, e ne prende un altro)
Cugino. Un traditore insidia l’onor mio...
Ma con ciò di ruine sola cagion son io.
Espongo i miei congiunti, perdo il marito istesso,
E l’onor mio rimane miseramente oppresso.
Porga rimedio il tempo. Soffra un animo forte
I colpi del destino, le ingiurie della sorte.
La calunnia non dura, la verità è una sola.
La virtù, l’innocenza, l’anima mia consola.
Soffrirò i crudi sdegni del mio consorte altero,
Fin che arrivar lo faccia a discoprire il vero.
Se di vedermi ei sdegna, soffrasi il rio martoro,
Soffransi ancor gl’insulti, ma salvo il mio decoro.
S’egli da solo a sola usa termini indegni,
Farò che il mio coraggio il suo dover gl’insegni.
Se in pubblico non teme esporre l’onor mio,
In pubblico ragione mi saprò fare anch’io.
Lo sposo mio rispetto, calmi della sua fama.