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426 ATTO QUINTO
Brigida. Noi creda che ste lagreme sia lagreme sforzae1.

In verità da seno, dal cuor le xe mandae.
Una povera puta...
Ottavio.   Basta così, ho capito.
Vedo che dalla sala il signor Lelio è uscito.
Ritirarvi potete in sala o in altro loco.
Al mio albergo in Venezia noi anderem fra poco.
E per condurvi in casa con alquanto d’onore2,
Verrete con alcuna di coteste signore.
Brigida. Mi no voggio balar. In portego no vago.
Anderò in st’altra camera, e fin ch’el vol ghe stago.
Pregherò el ciel de cuor che de mi nol se penta.
Brigida, povereta, ti sarà pur contenta. (parte)

SCENA II.

Ottavio, poi Lelio.

Ottavio. Il ciel mi ha qui condotto per fare un’opra buona;

Quando di ciò si tratta, affè non si canzona.
Ma vo’ col caro Lelio seguir la burla ancora.
Quando di qua si parte, la finiremo allora.
Lelio. La Contessa dov’è?
Ottavio.   Finora è stata meco.
Lelio. Perchè con voi, signore?
Ottavio.   Perchè Cupido è cieco.
Lelio. Non capisco.
Ottavio.   Sappiate ch’è il di lei cuor sdegnato,
Perchè con altre donne voi avete ballato.
Lelio. Davver? s’ella è gelosa, segno che mi vuol bene.
Ottavio. Ella è meco venuta ad isfogar sue pene.
In pubblico voleva darvi d’amore un segno;
Ma io l’ho sconsigliata.
Lelio.   Siete un uomo d’ingegno.

  1. Così l’ed. Pilteri. Stampano Zatta e altri: Nol creda che le sia ste lagrime sforzae.
  2. Nell’ed. Pitteri si legge: con alquanto onore.