Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVI.djvu/513

Da Wikisource.

LA SCUOLA DI BALLO 507
Rigadon. A me un tale sopruso? Oh me meschino!

Filippino. Noi andiamo a cercar nostra ventura.
Rosalba. E al maestro facciam un bell’inchino.
(via con Filippino)
Rigadon. A che serve, a che val la mia scrittura?
Se la fanno vedere al tribunale,
Per collusion si revoca a drittura.
Vi è quest’altra ragazza: manco male.
(accennando Rosina)
Rosina, fondo in voi la mia speranza;
Della vostra bontà fo capitale:
Su via, venite a principiar la danza. ((occa il violino)
Rosina. Risparmiate meco la fatica:
Ho del tempo a ballar, che me ne avanza.
Giust’è che a voi la verità si dica:
Vado col mio Carlino in Alemagna;
Io vi saluto, e il ciel vi benedica (via)
Carlino. Compatite, signor, se la lasagna
Vi è cascata di bocca. Chi vuol troppo,
Essere scorbacchiato si guadagna. (via)
Ricadon. Vattene a satanasso di galoppo;
Ballar ti faccia al suon delle catene
Una giga infernal col diavol zoppo.
Ma dagl’ingrati che sperar conviene?
Basta non mi abbandoni Giuseppina,
Ch’è meco obbediente, e mi vuol bene.
Via, venite a ballar, la mia regina. (suona)
Conte. Questa, che di virtude ha il core adorno,
A uno stato migliore il ciel destina.
Giuseppina. Lo star qui vosco reputai mio scorno:
Mosso il Conte a pietà de’ casi miei,
Diemmi il core e la destra in sì bel giorno.
Non poteano soffrire i giusti dei
Di un scostumato precettore ingordo
Le massime scorrette e i pensier rei.