Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVII.djvu/124

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114 ATTO PRIMO

Pamela. Ma come mai si è perduta ad un tratto la bella speranza di veder mio padre graziato? Diceste pure voi stesso, che la grazia erasi di già ottenuta, e il Re medesimo accordato aveva il rescritto.

Artur. Tutto quello ch’io dissi, non è da mettere in dubbio. Ma nota vi è la disgrazia del Segretario di stato. Deposto quello sfortunato ministro, passò la carica in un altro più rigoroso. Si dà per combinazione fatale, che in Irlanda e in Iscozia nacque recentemente un’altra picciola sollevazione. Si pensa in Londra a reprimerla nel suo principio, e il ministero1 non acconsente in simile congiontura spedir la grazia in favore di un reo dello stesso delitto.

Pamela. Dunque non è più sperabile la remissione del povero mio genitore?

Artur. Non è sì facile, ma non è disperata. Il vostro degno consorte ha dei buoni amici. Io pure mi maneggierò seco lui per ottenere la grazia, e con un poco di tempo noi l’otterremo.

Pamela. Voglia il cielo che segua presto. Mio padre è impaziente, ed io lo sono al pari di lui. Il soggiorno in Londra presentemente mi annoia. Milord mio sposo mi ha promesso condurmi alla contea2 di Lincoln, ma se questo affare non è concluso, si differirà la partenza, e mi converrà soffrire di restar qui.

Artur. Perchè mai vi dispiace tanto il soggiorno della città?

Pamela. Nei pochi giorni ch’io sono sposa, cento motivi ho avuti per annoiarmi.

Artur. Il vostro caro consorte non vi tratta forse con quell’amore con cui ha mostrato tanto desiderarvi?

Pamela. Anzi l’amor suo di giorno in giorno si aumenta. Pena, quando da me si parte, ed io lo vorrei sempre vicino. Ma una folla di visite, di complimenti, m’inquieta. Un’ora prima ch’io m’alzi, s’empie l’anticamera di gente oziosa, che col pretesto di volermi dare il buon giorno, viene ad infastidirmi. Vuole la convenienza ch’io li riceva, e per riceverli,

  1. Ed. cit.: Ministro.
  2. Ed. cit.: Baronia. Così poi altre volte.