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PAMELA MARITATA 127

Pamela. Milord Artur mi spiacerebbe meno d’ogni altro.

Bonfil. Vi piace la compagnia di Milord?

Pamela. Non la desidero, ma se vi fosse, non mi recherebbe molestia.

Bonfil. (Parmi innocente. Non la mettiamo in sospetto). Per ora non verrà nessuno. Se vi annoierete, ritorneremo in città.

Pamela. Mi sta sul cuore mio padre.

Bonfil. Parlategli; assicuratelo che non perdo di vista le sue premure e le vostre. Sollecitatevi alla partenza.

Pamela. Sarò pronta, quando vi piacerà di partire. (parte)

SCENA XI.

Milord Bonfil, poi madama Jevre.

Bonfil. Infelice quel cuore, in cui penetra il veleno della gelosia. Io non ho motivo di esser geloso, ma conosco che, se lo fossi, sarei bestiale.1 Non impedirò mai a Pamela di conversare, ma non soffrirò ch’ella conversi a testa a testa con uno solo. Eppure ci si è trovata con milord Artur. Eh, un accidente non dee fare stato. Non l’averanno fatto a malizia. Ecco Jevre; sentiamo da lei, come accaduto sia un tal incontro; ma senza porla in sospetto, che non vo’ scoprire la mia debolezza.

Jevre. Signore, che mi comandate?

Bonfil. Dov’è la padrona?

Jevre. Nella sua camera.

Bonfil. È sola?

Jevre. Sola. Con chi ha da essere?

Bonfil. Delle visite ne vengono continuamente.

Jevre. È vero, le riceve per forza. Tratta tutti con indifferenza, e si spiccia prestissimo.

Bonfil. Basta che non si trattenga da solo a sola.

Jevre. Oh cosa dite! non vi è pericolo.

  1. L’ed. cit. aggiunge: Non so come facciano coloro che lasciano servire da altri la propria moglie. O non l’amano, come io l’amo, o non pensano, come io penso. Non impedirò ecc.