Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVII.djvu/298

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Lucrezia.   Che parlare sguaiato.

Non si dice han battuto, si dice hanno picchiato.
Cavolo. Vi è fra il picchiare e il battere, in grazia del linguaggio,
La varietà che passa fra il cascio ed il formaggio.
Ella parla a suo modo, io come piace a me.
Con licenza, signora. Vado a veder chi è. (parte)
Lucrezia. Parlano all’impazzata. Alfine, dalli, dalli,
Quei che non son toscani, son tutti papagalli.

SCENA V.

Conte Lasca e detta, poi Servitore.

Conte. Servo della signora.

Lucrezia.   Serva sua riverente.
Conte. Domandovi perdono, s’io vengo arditamente.
Io sono il conte Lasca, galantuom, di buon core;
Vi sarò, se il gradite, amico e servidore.
Lucrezia. Anzi, mi ha fatto grazia il signor cavaliere.
Ehi, chi è di là?
Servitore.   Signora.
Lucrezia.   Dateci da sedere.
(servitore dà da sedere, e parte)
Conte. Voi siete di Toscana?
Lucrezia.   Nata son fiorentina.
Conte. Lucrezia è il vostro nome?
Lucrezia.   Si signore, Crezzina.
Conte. Cantaste in nissun loco?
Lucrezia.   A Pisa ho principiato.
Fermarmi per Livorno volevan diviato,
Ma poichè d’uscir fuori mi venne fantasia,
Desidero in Venezia cantare, e in Lombardia.
Conte. Se volete una recita voi siete in buone mani;
Spero di ritrovarvela forse pria di domani.
Fra gente di teatro ho molti amici cari.
Conosco per l’Italia moltissimi impresari.