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Un certo mio libretto mi lascino finire.

E posso compromettermi che questo incontrerà.
Conte. Sel faranno alle Smirne, credo non spiacerà.

SCENA V.

Nibbio e detti.

Nibbio. Padroni riveriti.

Tonina.   Sior Nibbio, vegnì avanti.
Annina. Nonna, al mi sgner Nibi.
Nibbio.   Son servo a tutti quanti.
Carluccio. Come sta di salute il signor direttore?
Nibbio. Bene. Il signor Carluccio sempre è di buon umore.
Carluccio. Voi siete quel grand’uomo, che presa si è la pena
Di por la prima volta la mia persona in scena.
E mi ricordo il bene che voi mi avete fatto...
Nibbio. E anch’io, che mi faceste quasi diventar matto.
Carluccio. Frutti di gioventù, ma or son fatto sodo.
Caro il mio signor Nibbio, di rivedervi io godo.
E se vado alle Smirne, vo’ che con me venite.
Nibbio. Alle Smirne? (con meraviglia)
Carluccio.   Vi è un Turco...
Nibbio.   (Come lo sa?)
Carluccio.   Sentite.
Conte. Nibbio, non v’è più caso che stia l’affar celato.
Nibbio. Chi è stato quella bestia che il tutto ha publicato?
Tonina. Sior Conte...
Conte.   Io non son stato; codesta è un’insolenza,
E se a qualcun l’ho detto, l’ho detto in confidenza.
Nibbio. Via, quel ch’è fatto, è fatto. Cerchiam di rimediare.
Or che la cosa è sparsa, dobbiam sollecitare.
Per tutti lor signori farò quel che potrò;
Ma di formar scritture l’autorità non ho.
II Turco di concludere da sè si è riserbato.
(Con tutta questa gente sono troppo imbrogliato).