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LA GUERRA 411


ed io non credo nè col mio nome, nè colla mia difesa, averla punto discreditata.

Sigismondo. Accorderò al vostro nome ed al vostro valore quello che non accorderei al merito della fortezza.

Egidio. Nulla per me vi chiedo. Pretendo che onorate si veggano le insegne del mio Sovrano.

Sigismondo. Su via, don Egidio, spiegatevi: a quali patti intendereste voi di capitolare la resa?

Egidio. Eccoli qui sommariamente distesi. (mostra un foglio e legge) Primo. Che debba uscire il presidio armato, con sei cariche per ciaschedun soldato, colle bandiere spiegate e coi tamburi battenti. Secondo, quattro carri coperti, oltre il libero asporto degli equipaggi.

Sigismondo. Sospendete di maggiormente inoltrarvi. La piazza è ridotta agli estremi; nè può pretendere una capitolazione sì avvantaggiosa. Il presidio dovrebbe arrendersi a discrezione. In grazia vostra gli si concede l’uscita, ma senz’armi, e senza bandiere, e dei carri coperti non ne parlate.

Egidio. No, non ho l’animo così vile per cedere in una maniera sì vergognosa. O accordatemi quegli onori che mi convengono, o mi difenderò sino all’ultimo sangue.

Sigismondo. L’esercito è già disposto all’assalto, ed impazienti siam tutti di segnalare il nostro coraggio.

Egidio. Nè manca in noi il valore e l’intrepidezza.

Sigismondo. Proviamoci adunque, e poichè vi ostinate a difendervi, preparatevi al destino de’ disperati.

Egidio. Signore, voi ed io facciamo il nostro dovere. Ma se in mezzo all’onorato impegno delle nostr’armi può aver luogo la cortesia, ardisco chiedervi per me una grazia.

Sigismondo. Chiedete pure. Son nemico delle vostr’armi, non della vostra persona.

Egidio. Ecco; disposto già mi vedete ritornar per la stessa strada alla combattuta fortezza. Rimesso colà dentro il mio piede, tornate pure alle ostilità, ed usi ogni uno di noi il diritto ed il poter della guerra; ma pria ch’io torni fra quelle mura,