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               Delle guerre si parla, e inviperito
               Ciascheduno difende il suo partito:
          Chi loda li Prusso, e chi l’Austriaco esalta.
               Chi dispone gli acquisti e la vittoria,
               Chi colla voce l’inimico assalta,
               Chi le perdite ancor converte in gloria,
               Chi le carote per costume appalta,
               Chi nega i fatti della conta istoria,
               Chi l’Oder, dice, la Sassonia bagna,
               Chi la Vistula crede in Alemagna.
          Uno dei due guerrier chi aveva accanto.
               Alza la voce, e in guisa tal ragiona:
               Voi, ch’esaltate della guerra il vanto,
               Perchè non ite a seguitar Bellona?
               Col capo rotto, e con un braccio infranto
               Sapreste, se il pugnar sia cosa buona.
               Bello è di guerra il favellar sedendo,
               Io, che ci fui, le sue bellezze intendo.
          La morte è il men del militar mestiere;
               Una volta si more, ed è finita.
               Molto peggio di morte è il non avere
               Riposo mai, finchè si resta in vita,
               E il dormir su la terra, e l’acqua bere
               Qualche volta fetente imputridita,
               E soffrire nel verno il crudo gelo
               E nella state il gran bollor del Cielo.
          Meglio per me, se nella prima etate
               A studiare di cor mi avessi dato.
               Meglio per me, s’io fossi Prete o Frate,
               E meglio ancor fra i Gesuiti entrato ecc....

Ma non ostante lo spirito poco marziale del Goldoni, da lui confessato (p. 369) e i suoi sentimenti di umanità, comuni ormai ai letterati del suo tempo in Italia e oltralpe (v. E. Bertana, Gli sciolti sulla Guerra di G. Parini, in G. Stor. Lett. It., vol. XXVIi. 1896, f. 2-3; G. Natali. La guerra e la pace nel pensiero italiano del sec. XVIII, in Italia moderna II, f. 2, 20 ott. 1904; G. Ortolani, Settecento cit., passim), egli seppe rendere con certa efficacia quel quadro grottesco di leggerezza, di vizio, di corruzione e di eroismo. Solo vi è certe volte una soverchia analisi; e certi personaggi, come don Polidoro e donna Florida nel primo atto, don Faustino, don Sigismondo e don Sancio nel secondo, e ancora donna Florida nel terzo, parlano troppo a lungo: difetto di misura a cui il pubblico non perdona mai. Eppure alcune scene sono di mano maestra, come per esempio la prima, qualche figura, come don Cirillo, e d’una vivacità indiavolata, qualche altra, come Donna Aspasia, e di una originale psicologia. Una nobiltà eroica si ammira nella figura di don Egidio, la quale a me par sincera, sebbene mi ricordi vecchi eroi della comedia spagnola, e mi pare indispensabile all’autore per la sua fedele rappresentazione. Non so perchè, ogni volta che rileggo l’ultima scena del secondo atto, penso al famoso capitano