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72 ATTO TERZO


farmi perdere la ragione, son divenuto brutale, nemico degli uomini, e di me stesso. Ma tutto questo sarebbe poco, se non mi facesse essere indiscretto, incivile, e quel ch’è peggio, ingrato al mio sangue, e sprezzatore del decoro della famiglia. Che dirà di me mio fratello? che dirà egli, quando saprà che per cagion vostra ho perduto il rispetto alla di lui moglie?

Eugenia. Oh oh, ecco qui, ecco qui donde derivano le smanie del signor Fulgenzio. Ecco lo sforzo della delicatezza d’onore. Ha detto una parola torta alla dilettissima sua cognata. Ha commesso un error grandissimo. Si sente morire d’averlo fatto. Bisogna rendere soddisfazione a questa illustre signora. Volete che vada io a domandarle scusa per voi?

Flamminia. Che manieraccia è questa? Lo voglio dire al signore zio. (ad Eugenia) Per l’amor del cielo, signor Fulgenzio, non le badate.

Fulgenzio. Non mettete in ridicolo una cosa seria. (ad Eugenia)

Eugenia. Io voglio ridere quanto mi pare.

Fulgenzio. Ridete pure a vostro talento. La vostra ilarità in un caso simile dipende, o da poco amore, o, compatitemi, da poca ragione.

Eugenia. Sì, sono una pazza. Non lo sapete?

Fulgenzio. No signora; sapete esser saggia, quando volete.

Eugenia. Ma questa volta son pazza. Ditelo liberamente.

Flamminia. Se non lo dice egli, lo dirò io.

Eugenia. Voi non e’entrate, signora. (a Flamminia)

Flamminia. Meritereste che tutti vi abbandonassero.

Eugenia. Basta che non mi abbandoni il cielo.

Flamminia. Il cielo non assiste a chi ha massime come le vostre.

Eugenia. Che? sono una bestia io? non merito l’assistenza del cielo?

Flamminia. L’ingratitudine è odiosa agli uomini e ai numi. Voi trattate male con chi vi ama; cercate di affliggere le persone innocenti; odiate chi vi consiglia al bene; tradite voi stessa, calpestate i doni del cielo; e non arrossite di voi medesima?

Fulgenzio. Via, signora Flamminia, non l’affliggete d’avvantaggio. Io non ho cuore di vederla mortificata. Eugenia è assai ragio-