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NOTA STORICA

Del suo soggiorno nella Città Eterna (dicembre ’58 — luglio ’59) il Goldoni recava a Venezia ricordi tristi e lieti: la caduta della Vedova spiritosa al Tordinona, il trionfo di Pamela nubile al Capranica, la composizione della Maritata. Di più buona copia di lavori appena intravvisti dalla mobile e ferace sua fantasia; uno, tra gli altri, in versi sdruccioli, intitolato: Gli innamorati, «ridicolo e di passione» (Mantovani, C. G. e il T. di San Luca. Carteggio. Milano, 1885, p. 124, lett. da Bologna del 21 agosto 1759 al Vendramin). Per gran ventura, dopo maturo esame della materia così felicemente imaginata, la commedia, pronta secondo le Memorie (ed. Mazzoni, vol. II, p. 120) in quindici giorni, venne stesa in prosa. E in questa forma è promessa nel Monte Parnaso che preluse alle recite dell’anno comico 1759-60. In gara con le compagne Talia proverà con una commedia non «essere la prosa delle muse indegna».

               «Sarà gl’Innamorati
               Il comico soggetto,
               Che in nobil gara di propor mi avviso,
               La passione e il riso
               Dolcemente meschiando
               In comico soggetto,
               E l’utile e il diletto
               Recando ai spettatori.
               Spero trarne in merce laude e favori.

Gl’Innamorati sembrano oggi ancora il frutto più saporoso dei mesi vissuti dal poeta a Roma. Lettere, Memorie e ricerche erudite confermano concepito questo lavoro proprio colà, nella casa di quell’originalissimo abate che ospitava il poeta. Rivivono infatti in essa persone con le quali egli aveva avuto consuetudine cotidiana. Si legge nelle Memorie:

«Il titolo non prometteva niente di nuovo, perchè son poche le commedie senza amore, ma io non ne so alcuna dove gl’innamorati sieno della tempra di quelli da me impiegati nella mia; e l’amore sarebbe il più spaventevole flagello della terra, se facesse gli amanti furiosi e disgraziati come i due personaggi principali di questa. Eppure io ne conoscevo gli originali; li aveva visti a Roma; ero stato l’amico e il confidente di tutte due: testimonio della loro passione, delle loro tenerezze, spesso de’ loro accessi di furori e de’ loro ridicoli trasporti. Avevo sentito più d’una volta le loro querele, le loro grida, le loro disperazioni; avevo visto fazzoletti stracciati, vetri in frantumi, coltelli in aria. I miei innamorati eccedono, ma non sono per questo men veri; c’è più verità che verisimiglianza in questo lavoro, lo confesso; ma dietro la realtà del fatto, credetti di poterne ricavare un quadro che faceva ridere gli uni e spaventava gli altri.

In Francia un soggetto simile non sarebbe stato tollerabile; in Italia lo si trovò un po’ caricato e io intesi parecchi dei miei conoscenti vantarsi d’essersi