Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1913, XVII.djvu/98

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lavori, secondo Marietta Ortiz («una delle più belle... ch’egli abbia composte» C. G. e il bicentenario della sua nascita. Almanacco Bemporad, Firenze. 1908, p. 358) e Cesare Levi («fra le buone... e una delle migliori, una delle più fresche e spigliate» Rivista teatrale italiana, 1 giugno. 1908, p. 3)..W Dejob l’episodio, dove Fabrizio manda Roberto a vedere le meraviglie della sua pinacoteca e vuole imporgli un nuovo avvocato per un processo che stava per comporsi, prova con quale arte il Nostro sappia trarre «da una scena episodica conseguenze in istretto legame con l’azione principale». «Sembra che l’autore voglia unicamente esilararci a spese d’un originale: ma le due ore passate per compiacenza nella sua galleria, la discussione sulla scelta dell’avvocato persuadono l’amante di Eugenia che Roberto non era giunto allora, come l’assicurava Flaminia per prevenire uno scatto di gelosia» (Les femmes dans la comédie, ecc. Paris, 1899, p. 371). Per gli Innamorati, «una delle miglion» commedie del G., ha più d’una pagina d’entusiastico encomio lo Schmidbauer. «Il fascino di tali scene [di gelosia] sta anzitutto nel dialogo pieno di arguzia e di brio. Vera azione non c’è, ma qui si può parlare d’azione interiore, psicologica. È un vero studio di caratteri, una pittura eccellente delle gelosiucce — gelosia non si può dirla — che riuscì assai bene al Goldoni. Non è facile definire esattamente dove stia il fascino del lavoro; il suo pregio è tutto nell’arguzia che con discreto sorriso delinea le piccole gelosie di quella coppia» (Das Komische bei G. München, 1906, pp. 70, 71 ). Lo Schmidbauer riporta ancora parte della «magnifica» scena (III, 1 ) dove Lisetta e Tognino spiano attraverso il buco della serratura gli avvenimenti del pranzo per dimostrare come tali trovate (cfr. Donne curiose) mettono nella luce più bella la potente evidenza delle sue pitture (ibid. p. 29).

È dunque nella critica un plebiscito d’ammirazione. Nè tutto e tutti possiamo citare in questa rapida rassegna. Ma non vorremmo chiuderla senza riferire almeno in parte le belle e acute osservazioni di quell’attento analizzatore del teatro goldoniano ch’è Domenico Oliva: «Ella pare così lucente e benedetta: la semplice storia d’amore, il fiorire della vita e della giovinezza, la cara primavera dell’anima inebbriano e rapiscono tutti i cuori. Ma osservate bene e penetrate oltre all’apparenza e intendete tutto quanto volle colui che vi fece sorridere e ridere e riserbava una simile festa ai contemporanei e a tardi nepoti. Sotto tanta gaiezza non ispunta qualche malinconia? Questa è la commedia dell’amore: ma è una commedia, e una commedia e sempre, almeno in parte, una satira: quindi e anche la satira dell’amore, molto più umana, molto più vera, e pertanto più profonda dell’altra immaginata e composta dal grande poeta norvegese. Il nostro poeta vi ha palesato tutti gl’inconvenienti, tutti i fastidi della passione tiranna; vi ha palesato tenerezze e dolcezze e delizie, ma anche e sopra tutto il rovescio della medaglia, cioè tutto quello che ogni amore implica di folle e di stolto e di umiliante e di penoso. Che cosa è il vero amore se non una specie di pazzia?... Ma oltre allo studio del cuore, oltre alla analisi di questa povera debolezza umana, qui l’arte e quella che vince, arte perfetta di linea e d’equilibrio, della classicità più armoniosa e più squisita... Il teatro che possiede questi capolavori non teme il paragone di nessun altro teatro» (Giornale d’Italia. 11 luglio 1907).

Col favore dei critici ben s’accorda la costante fortuna della commedia sulla scena fin dal suo primo apparire. Anzi le prime accoglienze — vuole