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LE AVVENTURE DELLA VILLEGGIATURA 159


Beltrame. Non era cattivo quel pasticcio di maccheroni.

Tita. Mi sono anche piaciute quelle polpette.

Beltrame. L’arrosto, se fosse stato caldo, era di buona ragione.

Tita. Sì, era vitella di latte. Ne ho portato via un buon pezzo in una carta, per mangiarmelo questa sera.

Beltrame. Ed io mi ho portato via quattro pasticciotti ed un pezzo di parmigiano.

Tita. Oh! se fosse stato un pranzo, come dico io1, si poteva portar via un buon tovagliolo di roba.

Beltrame. E che non ci fossero stati tanti occhi d’intorno.

Tita. Basta dire, che se avanzava roba sui tondi, erano lì pronti i servitori di casa, per paura che ci ponessimo noi la roba in saccoccia.

Beltrame. Oh! io non sono di quelli che portano le saccoccia di pelle.

Tita. Io pure di queste viltà non ne faccio. Se ce n’è, mangio, se non ce n’è, buon viaggio.

Beltrame. Poco più, poco meno, pur che si viva.

Tita. Oh! ecco la compagnia; diamo luogo.

Beltrame. E la vecchia innanzi di tutti.

Tita. E come mangia quella vecchietta!

Beltrame. E il signor Ferdinando?

Tita. E il vostro caro signor Tognino?

Beltrame. Ma ehi! avete veduto come si portava bene con quella ragazza?

Tita. E come!

Beltrame. Se succede, vuol essere il gran bel matrimonio.

Tita. L’appetito e la fame. (parte)

Beltrame. Il bisogno e la necessità. (parte)

  1. Così l’ed. Zatta. Nell’ed. Pasquali; come dich’io.