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Vedremo, dopo il Ritorno, se il Chatfield-Taylor sia nel vero ritenendo questa seconda parte la meno significativa delle tre. Ci sembra abbia coscienza di ciò lo stesso autore. Il quale, se nelle Memorie giudica di scarso interesse l’atto primo, nella Premessa s’ingegna di scorgere in tutto il lavoro l’unità d’azione che non ha. «Quando il titolo collettivo abbraccia più persone, l’unità stessa si trova nella molteplicità delle azioni». E reca più esempi dal suo teatro. Ma le smanie della villeggiatura e i grattacapi del ritorno riempiono assai bene di sè la prima e la terza. Al Teatro comico dà sicura unità la tesi. Nella Bottega del caffè Don Marzio, personaggio episodico, per la forte drammaticità sua, si sovrappone a tutti e tutto par lumeggiare solo quella stupenda figura. Così la commedia d’ambiente si trasforma in commedia di carattere. Nei Pettegolezzi non è chi non veda come le chiacchiere sulla Checchina reggano senza sforzo tutto l’intreccio. Le Avventure invece si compongono di singoli quadri, abbozzati sopra un unico sfondo sì, ma senza intima fusione. L’episodio più consistente: gli amori di Giacinta e Guglielmo (di che nulla si sente al primo atto), non attira nella sua orbita che scarsamente quel mondo vano e pettegolo.

Voleva l’autore con questa commedia «criticare la pazza prodigalità e i pericoli d’una libertà senza limiti» (Memorie, ediz. cit., vol. II, p. 58). Ma «non si allarmi il lettore» avverte il Rabany (op. cit. p. 376) «la pittura non ha nulla di licenzioso; non si tratta che del mutamento avvenuto nel cuore d’una fanciulla che ama il fidanzato della sua amica, n’ha la confessione del suo amore, ma senza cedervi. Veramente i pericoli non erano per Giacinta soltanto. Nella suggestiva intimità delle carrozze e delle mense, nel discreto raccoglimento dei boschetti nascono e maturano ben cinque idilli. Tant’è vero che un moralista dei nostri giorni, pesati sulla bilancia di Pietro Schedoni amori dissipazione e maldicenza, mette questa tra le commedie «poco buone in tutto o in parte» (Rivista di letture, 15 maggio 1914).

Nell’Introduzione già citata (v. Nota alle Smanie, pp. 88, 89) le Avventure s’annunciano con questi versi:

          «La seconda Commedia ha per assunto
               Le avventure mostrar della campagna,
               E toccherà principalmente il punto
               Che chi sfugge i perigli assai guadagna.
               Senza il tempo e il danar mirar consunto,
               In città si sta bene e si sparagna.
               Ed è un diletto che consola appieno,
               Il Teatro veder brillante e pieno.
          Ma quando è giunta la stagion fatale
               Addio gente, addio mondo, addio commedie.
               Di gondole scarseggia il Gran Canale,
               E s’impiegan burchiei, cavalli e sedie.
               Chi per disgrazia a villeggiar non vale,
               Par che di tutto e anche di noi s’attedie.
               Ite, giacchè al partir s’affretta il giorno.
               Aggradite il buon viaggio e il buon ritorno».

Smanie e Avventure furono recitate entro l’ottobre dell’anno comico 1761-1762, come apparisce chiaro dall’Elenco del Teatro di S. Luca (posseduto