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216 ATTO TERZO

Fabrizio. Spero non mi farà questo torto.

Marianna. Da una parte la compatisco. Vedete bene: l’occasione del caffè rende troppo pubblica questa sala. È venuto poc’anzi un impertinente...

Fabrizio. Lo so, lo so; mi fu detto di m. la Cloche. Ha colto l’occasione ch’io non c’era. Se c’era io, sarebbe andata la cosa diversamente. Ma a questo si rimedierà. Di sopra ho due appartamenti: ne assegnerò uno alla vostra padrona; ditele che non parta da me; che non mi dia questo dispiacere, ch’io non credo di meritarlo.

Marianna. Voi siete di buonissimo cuore; ma conoscete il di lei carattere. Non accetterà l’appartamento che le offrite, perchè da quello voi potete ricavar molto più; ed ella non è in grado di accrescere la pigione.

Fabrizio. Non parliamo di questo.

Marianna. Caro signor Fabrizio, voi avete della famiglia; e non è giusto che pregiudichiate i vostri interessi.

Fabrizio. Sì, dite bene. Vivo di questo, e non deggio togliere ai miei figliuoli per dare ad altri; ma sappiate, per parlarvi da galantuomo, che mi sono restate nelle mani le cinquanta ghinee del signor Friport; e queste, in buona coscienza, le ho da impiegare per lei.

Marianna. S’ella lo sa, non facciamo niente.

Fabrizio. Non è necessario ch’ella lo sappia. Farò che mia moglie la persuada ad accettare l’appartamento. Diremo, fin che mi resta disoccupato; e ci starà fin che vuole.

Marianna. Non so che dire; fra le nostre disgrazie il vostro buon amore è per noi una provvidenza.

Fabrizio. Andate a domandare che cosa vuole da pranzo; o almeno dia a me la permissione di far per lei qualche cosa.

Marianna. Fate voi senz’altro. Regolatevi secondo il solito. Non so che dire. Se le sue afflizioni le impediscono poter mangiare, sono afflitta ancor io; ma il mio stomaco ha bisogno di refrigerio.

Fabrizio. Bene: so quello ch’io devo fare. Voi di che cosa avreste piacere?