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224 ATTO tTERZO


vente ammettere sulle labbra il riso, mentre il cuor si doleva del suo destino. Sono ora arrivate le mie sventure a tal segno, che più non vaglio a superare me stessa, e la crudeltà e la perfidia mi costringono ad abbandonarmi all’arbitrio della più dolorosa passione.

Milord. Deh! svelatemi la trista fonte del vostro cordoglio. Confidate in chi v’adora.

Lindana. Perfido! E avete cuore di dirmi ch’io mi confidi? Voi me lo dite? Voi da cui derivano le mie pene?

Milord. No, Lindana, non mi crediate a parte della più nera azione del mondo. Compatisco le vostre disavventure; detesto in ciò la memoria del mio genitore medesimo; e intendo di rendervi quella giustizia che meritate, risarcendo io medesimo i vostri danni, e cancellando l’onte del nome vostro e della vostra famiglia.

Lindana. (Oh cieli! Qual ragionamento è mai questo?) Che dite voi, signore, del nome mio e della mia famiglia?

Milord. Pur troppo mi è noto, con quanta ingiustizia ha il padre mio perseguitata la vostra casa. Piansi l’esilio del vostro buon genitore; e desidero che ancor viva, per procurargli io stesso la libertà, i suoi beni, la compagnia della cara figlia....

Lindana. Ah! son tradita. (si getta a traverso del tavolino)

Milord. Deh! se v’intenerisce il nome del padre, vi dia animo e vi conforti un cavaliere che vi ama....

Lindana. Milord, son fuor di me stessa, (alzandosi con agitazione)

Milord. Consolatevi, o cara....

Lindana. Oh numi! chi vi ha svelato chi sono? (agitata)

Milord. Non vi svelate da voi medesima? I rimproveri vostri non mi accusano di complicità con mio padre? Di qual altra colpa potevate voi accusarmi?

Lindana. Ah! voi caricate menzogne sopra menzogne. Io non intendea rimproverarvi che d’avermi celati gl’impegni vostri con miledi Alton, ch’è venuta a insultarmi. No, il mio ragionamento non poteva mai farvi credere ch’io fossi quella che sono, e che a mio dispetto sono costretta ora a svelarmi.