Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1914, XIX.djvu/286

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272 ATTO PRIMO

Ferdinando. Sì; è tornato suo padre. Ha saputo che voleva sposare quella ragazza. L’ha cacciato di casa, e non sapeva dove andar a mangiare e a dormire. La signora Costanza, che non vorrebbe che il matrimonio della nipote le costasse un quattrino, si è fatta pregare a riceverlo. Finalmente non ha potuto fare di meno. L’ha messo a dormire col servitore, gli dà la tavola; ma c’è poco da sbattere, ed il ragazzo è di buona bocca. Oggi dicevano di voler venire a Livorno, ed intendono di condur seco loro Tognino e mover lite a suo padre per gli alimenti, farlo sposar la fanciulla, e poi addottorarlo nell’università de’ balordi.

Vittoria. L’istoriella è graziosa, ma non m’interessa gran fatto. Vorrei che mi diceste qualche cosa intorno la melanconia della signora Giacinta.

Ferdinando. Io, compatitemi, non soglio entrare ne’ fatti altrui.

Vittoria. Ci siete entrato tanto, che basta per pormi in sospetto, e siete in obbligo di disingannarmi,

Ferdinando. E di che cosa potete voi sospettare?

Vittoria. Di quello che ho sospettato anche prima di partire da Montenero.

Ferdinando. Io non so che pensaste allora, ne quel che pensiate adesso.

Vittoria. S’ella sospira, avrà qualche cosa che la molesta.

Ferdinando. Naturalmente.

Vittoria. Per mio fratello non crederei ch’ella sospirasse.

Ferdinando. Oh! non mi è mai passato per mente di credere che ella sospirasse per lui.

Vittoria. E per chi dunque?

Ferdinando. Chi sa? Non potrebbe ella sospirare per me? (ridendo)

Vittoria. Eh! no, per voi no; sospirerà forse per qualcun altro.

Ferdinando. A proposito. Ho perduto l’amante. La signora Sabina non mi vuol più. Dopo che le ho parlato di donazione, s’è affrontata, s’è fieramente sdegnata, e non ha più voluto nemmen vedermi; anzi, sentite s’ella è da ridere: per timore di dover venire con me, non ha voluto venire a Livorno. È