Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1914, XIX.djvu/311

Da Wikisource.

IL RITORNO DALLA VILLEGGIATURA 297

Brigida. Prego il cielo che così sia, ma ne dubito.

Giacinta. Ed io ne son sicurissima.

Brigida. E donde può ella trarre una tal sicurezza?

Giacinta. Senti: convien dire che il cielo mi vuol aiutare. Nella agitazione in cui era, per cercare di divertirmi, ho preso un libro. L’ho preso a caso, ma cosa più a proposito non mi potea venir alle mani; è intitolato: Rimedi per le malattie dello spirito; fra le altre cosa ho imparato questa: Quando uno si trova occupato da un pensiere molesto, ha da cercar d’introdurre nella sua mente un pensier contrario. Dice che il nostro cervello è pieno d’infinite cellule, dove stan chiusi e preparati più e diversi pensieri. Che la volontà può aprire e chiudere queste cellule a suo piacere, e che la ragione insegna alla volontà a chiuder questa e ad aprire quell’altra. Per esempio, s’apre nel mio cervello la celletta che mi fa pensare a Guglielmo, ho da ricorrere alla ragione, e la ragione ha da guidare la volontà ad aprire de’ cassettini ove stanno i pensieri del dovere, dell’onestà, della buona fama; oppure se questi non s’incontrano così presto, basta anche fermarsi in quelli delle cose più indifferenti, come sarebbe a dire di abiti, di manifatture, di giochi di carte, di lotterie, di conversazioni, di tavole, di passeggi e di cose simili; e se la ragione è restia, e se la volontà non è pronta, scuoter la macchina, moversi violentemente, mordersi le labbra, ridere con veemenza, finchè la fantasia si rischiari, si chiuda la cellula del rio pensiero, e s’apra quella cui la ragione addita ed il buon voler ci presenta.

Brigida. Mi dispiace non saper leggere; vorrei pregarla mi permettesse poter anch’io leggere un poco su questo libro.

Giacinta. Hai tu pure de’ pensieri che ti molestano?

Brigida. Ne ho uno, signora, che non mi lascia mai, ne men quando dormo.

Giacinta. Dimmi qual è, che può essere ch’io t’insegni qual cellula devi aprire per discacciarlo.

Brigida. Egli è, signora mia, per confessarle la verità, ch’io sono