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IL BUON COMPATRIOTTO 361

SCENA VII.

Pantalone e Isabella.

Isabella. (Povera me! ora mi aspetto mille mortificazioni, mille rimproveri).

Pantalone. (Ho scoverto una bella cossa. No credeva mai che custia me fasse una bassetta1 de sta natura).

Isabella. (Negar non posso la verità, e non mi giova nasconderla, avendo in animo di voler sostenerla).

Pantalone. (Me vegneria voggia de chiapparla per el collo e darghene tante fin che la bulega2. Ma no: voggio usar prudenza, voggio provar de venzerla co le bone).

Isabella. (Che mai vuol dire ch’egli non parla! Questo suo silenzio mi fa maggiormente temere).

Pantalone. (Pol esser che fazza più co le bone, che co le cattive. Poi esser che la rason possa più dei manazzi3). Isabella. (chiamandola dolcemente)

Isabella. Signore. (mortificata)

Pantalone. Xe vero quel che ha ditto siora Costanza?

Isabella. Ah signore, vi domando perdono. Pur troppo è la verità. Confesso una colpa commessa, posso dire, senza avvedermene. La libertà che avevasi in casa di mio zio, mi ha fatto conoscere e mi ha permesso trattare un giovane cavaliere. A poco a poco ho concepita per lui della stima. La stima è divenuta amore, e non ho potuto resistere alle sue finezze, e ho acconsentito a promettergli d’esser sua consorte. Conosco ora l’errore, lo detesto, mi pento, e un’altra volta vi domando perdono.

Pantalone. Cara la mia cara fia, ti xe pur una putta de garbo, ti gh’ha giudizio, ti gh’ha del dottorezzo tanto che fa paura, e no ti ha visto, no ti ha pensà, che una putta savia, che una putta civil no pol disponer senza so padre, nè s’ha da impegnar senza dipender dai so maggiori?

  1. Gioco, inganno, mala azione: v. Patriarchi e Boerio.
  2. Bulegar, muoversi appena: voi. VIII, 146 ecc.
  3. Minacce.