Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1914, XIX.djvu/409

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NOTA STORICA

Che cos’è questa commedia in parte scritta e in parte a soggetto, come ai tempi lontani del Momolo cortesan, inspirata al teatro dell’arte, la quale viene a cacciarsi quasi per forza tra le Villeggiature e le Baruffe chiozzotte, a guisa d’un lazzo gettato tra la Bella Giorgiana e Sior Todero, proprio nel momento in cui il Goldoni ha compiuto a Venezia la sua opera gloriosa e si prepara a partire per il volontario esilio, dopo di aver riformato le scene con un lavoro ostinatissimo di tre lustri, dopo di aver creato egli da solo, sulle rovine del teatro improvviso, il teatro comico italiano? Volle l’autore misurare tutto il suo cammino, additando al pubblico il punto donde era partito? Volle soddisfare un desiderio forse più volte espresso dagli interpreti del teatro di S. Luca? Volle rispondere al conte Carlo Gozzi, sorto a paladino dell’antica commedia dell’arte? Cedette all’umore volubile del popolo veneziano, che nell’ottobre precedente aveva applaudito il Corvo, la seconda fiaba del Gozzi, e non si stancava di ridere sboccatamente alle inesauribili facezie del truffaldino Sacchi? O costretto a rinnovare il suo tesoro drammatico, tentò di sorprendere un’ultima volta il pubblico e mandò un ultimo saluto, prima della partenza, alle maschere italiane che gli avevano sorriso fin dall’infanzia?

Certo la prova non ottenne fortuna. La Gazzetta Veneta del Chiari che nel n. 91 (23 dic. 1761) ne dava l’annuncio, prima della recita («Anche nel Teatro a S. Luca si promette per la sera di S. Stefano una nuova Commedia intitolata, se non erro, il buon Patriota»), nel n. 92 (2 genn. 1762) riferiva seccamente: «Ebbe quella fortuna che meritava una Commedia fatta a soggetto, e quasi all’improvviso, dove è difficile assai che colla testa del Poeta vadano le teste diverse degli Attori perfettamente d’accordo, e ne risulti quella armonia delle parti, e quel colore poetico, che dilettar possa e piacere agli occhi di tutti». Degli interpreti possiamo ricordare che Traccagnino era Francesco Cattoli, Pantalone Pietro Rosa, Brighella Antonio Martelli, Dottore Giuseppe Lapy. È incerto se la servetta Elisabetta Catrolli Zanuzzi sostenesse la parte di Rosina e Caterina Bresciani la parte di Isabella; se Leandro fosse Giuseppe Majani, detto il Majanino, oppure Bartolomeo Camerani. Più certo è questo, che gli attori recitarono male, come succedeva spesso nel teatro di San Luca. — Né mai più la commedia fu accolta, ch’io sappia, in alcun teatro pubblico o privato; nè fu stampata prima del 1790 (Venezia, edizione Zatta). Condanna piena e irreparabile, aggravata, se mai possibile, dall’oblio dei lettori e dalla trascuratezza dei critici. L’autore stesso non parlò nelle Memorie del Buon compatriotto; solo nell’elenco finale ne fece menzione, assegnandone non si sa perchè la recita all’anno 1756. Pochi nell’ottocento, anche fra i cosidetti goldonisti, si curarono, io credo, di leggerlo: due o tre appena si degnarono di ricordarlo.

Eppure il Buon compatriotto non è soltanto un documento prezioso per lo studio della commedia dell’arte, ma conserva delle scene vive e piacevolissime.