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120 ATTO PRIMO

Marianna. E chi vi obbliga a fare una cosa che vi dispiace?

Guascogna. Non lo sapete? il padrone.

Marianna. De’ padroni non ne mancano all’Aja; e qui senza dubbio trovereste chi vi potrebbe dare assai più di un povero uffiziale francese prigioniero di guerra, ferito, e mal concio dalla fortuna.

Guascogna. Compatitemi, un simil linguaggio non è da giovane vostra pari. Sono parecchi anni, che ho l’onore di servire il mio buon padrone. Suo padre posso dire che me lo abbia raccomandato. L’ho servito alla guerra. Non ho sfuggito i pericoli per dimostrargli la mia fedeltà. È povero, ma è di buon cuore; son certo, che avanzando egli di posto, sarò io a parte d’ogni suo bene, e mi consigliereste di abbandonarlo, e lasciarlo ritornare in Francia senza di me?

Marianna. Voi parlate da quel valent’uomo che siete; ma io non posso dissimulare la mia passione.

Guascogna. Cara Marianna, sono afflitto al pari di voi. Ma ho speranza di rivedervi, e di essere in migliore stato, e potervi dire: son qui, posso mantenervi, e son vostro, se voi mi volete.

Marianna. Il ciel lo voglia. Ma che fretta ha di partire il signor tenente? Il mio padrone lo vede assai volentieri, e credo che la figliuola non lo veda meno volentieri del padre.

Guascogna. Sì, pur troppo; ed ecco il motivo per cui egli parte.

Marianna. Gli dà noia l’essere ben veduto?

Guascogna. Eh Marianna mia! Il povero mio padrone è innamorato della padrona vostra alla perdizione. Vive la più miserabile vita di questo mondo. Conosce che ogni dì più questo reciproco amore si aumenta, e non potendo più tenerlo celato, teme per se medesimo, e per madamigella Giannina. Il vostro padrone è assai ricco, ed il mio è assai povero. Monsieur Filiberto, che ha quest’unica figliuola, non vorrà darla a un cadetto, a un soldato, ad uno in fine, che dovrebbe vivere sulla dote. Il tenente è povero, ma è galantuomo. Rispetta L’ospitalità, l’amicizia, la buona fede. Teme che amor non