Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1922, XXI.djvu/143

Da Wikisource.

LA GELOSIA DI LINDORO 137

Roberto. Oh, oh, la riverisco divotamente. (con ironia)

Lindoro. La supplico in grazia, aver la bontà di concedermi il mio congedo. (seriosamente)

Roberto. Davvero? (con ironia)

Lindoro. Sì signore: il congedo per me, e per Zelinda.

Roberto. Il congedo per tutti due? (come sopra)

Lindoro. Spero ch’ella me l’accorderà di buona voglia, e non vorrà obbligarmi a partire con mala grazia.

Roberto. Oh so, che vossignoria è un giovane proprio e civile, che non è capace di far male grazie, so ch’è un giovane serio e prudente, che ci penserà sopra, e non partirà. (con ironia)

Lindoro. Signore, voi la prendete in ischerzo, ed io vi dico seriamente che intendo d’andarmene, e di condur meco mia moglie.

Roberto. E tutto questo per un sospetto vano, mal fondato, ingiurioso...

Lindoro. Perdonatemi, ho delle ragioni fortissime... Accordatemi la grazia che vi domando, e non mi fate parlar d’avvantaggio.

Roberto. No, non v’accorderò mai che partiate, se non mi dite quali siano queste ragioni fortissime, che voi vantate d’avere.

Lindoro. Signore, quando m’avete licenziato di casa vostra, io sono stato costretto a sortire, e come voi eravate padrone di licenziarmi, io son padrone d’andarmene quando m’aggrada.

Roberto. V’è qualche differenza da voi a me.

Lindoro. In questo, scusatemi, non vi dee essere differenza alcuna. Le volontà sono libere, e i servitori di qualunque grado si sieno, non sono schiavi venduti.

Roberto. Voi prendete la cosa su un tuono un poco troppo serioso. Io non sono capace di usarvi nè violenze, ne ostilità. Se cerco di trattenervi, non è che l’amore che m’obbliga a persuadervi. Sapete quel ch’ho fatto per voi. Non posso dispensarmi dal dirvi che siete un ingrato, ma se volete andare, andate, che il cielo vi benedica.

Lindoro. E Zelinda ha da venire con me.