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146 ATTO SECONDO

Eleonora. Ha veduto una lettera...

Lindoro. Ah! questa lettera la conosco. Don Filiberto parla per bocca mia. (placidamente)

Fabrizio. Sì signora, ei non sa che la lettera è mia, ch’io l’ho scritta, che la giovane in questione è la figlia d’uno speziale, ch’io sono il reo, ch’io sono l’innamorato...

Eleonora. Che andate ora inventando che la lettera è vostra? che siete voi il galante di cui si tratta? siete un mentitore, un bugiardo. Poichè voi stesso avete accordato a don Filiberto, che don Flaminio fa l’amor con Zelinda, e non è sulla lettera ch’ei si fonda, ma sul fondamento delle vostre parole.

Lindoro. Ah son tradito senz’altro. (a Fabrizio)

Zelinda. (Misera me! non so in che mondo mi sia). (da sè)

Roberto. Sarebbe dunque possibile?... (a Fabrizio)

Fabrizio. Signore, sono un galantuomo, incapace di mentire e di commettere delle bricconate. Quello di don Filiberto è un equivoco, e so da dove proviene. Lo troverò, gli parlerò, gli farò toccar con mano la verità. Conoscerete la mia innocenza, e quella di questa povera sfortunata. (parte)

SCENA XI.

Don Roberto, donna Eleonora, Zelinda, Lindoro.

Eleonora. Non credete a quell’impostore. (a don Roberto)

Lindoro. No, non si può credere a quel ribaldo. (a don Roberto)

Zelinda. Sospetterete dunque di me? (a don Roberto)

Roberto. Non so che dire. Sono incerto... sono confuso... Per dirvi la verità... principio a dubitare anch’io. (a Zelinda)

Zelinda. Povera me! a qual miserabile condizione son io ridotta? Sospettare di me? dubitar della mia innocenza? E chi? Il mio padrone, il mio sposo. Della padrona non parlo: so che non mi ama, e che non perde l’occasion di mortificarmi. Ma il mio buon padrone, ma il mio caro marito! È possibile ch’io mi sia meritata una sì poca fede, un così indegno con-