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278 ATTO TERZO

Pandolfo. (È un’eredità stupenda. Che lite si sarebbe fatta! Ma è meglio un ovo oggi, che una gallina domani). (da sè)

SCENA XVll.

Servitore e detti, poi Zelinda.

Servitore. Signore, è qui la signora Zelinda che domanda la permissione d’entrare. (all'avvocato)

Avvocato. Ditele che favorisca, che non s’aspetta che lei. (servitore via)

Lindoro. (Cosa mai vuol dire ch’ha tardato tanto? Sarei ancora sì bestia per sospettare?) (da sè)

Zelinda. (Cambiata d'abito, se può, o collo stesso abito, ma con un fazzoletto sulle spalle, ed una cuffia ed una veletta in testa, in aria modesta, cogli occhi bassi, camminando pian piano, s’avanza e fa una riverenza modesta, ma profonda.)

Avvocato. Signora, siete arrivata a tempo; abbiamo letti gli articoli dell’aggiustamento, e finora tutti sono contenti; rileggeremo il vostro e vedremo se vi piacerà.

Zelinda. (Fa una riverenza, poi dice pateticamente) Signore, nello stato in cui mi trovo presentemente, non sono più in grado di prestar orecchio ad alcun accomodamento, ma invece di ciò, supplico il signor notaro degnarsi di leggere questa carta. (Fa una riverenza, e presenta una carta al Notaro, e si ritira a parte modestamente.)

Avvocato. Che novità è questa? Sentiamo, signor notaro.

Lindoro. (Oh cieli! mi trema il core). (da sè)

Notaro. Io, Zelinda Merlini, moglie di Lindoro Lanezzi, vedendo che in questo mondo non vi sono per me che dei travagli e delle afflizioni, rinunzio a qualunque benefizio che possa derivarmi dal testamento del fu signor don Roberto Lampioni. Lascio che tutto conseguisca e posseda quell’ingrato di mio marito, a condizione ch’egli mi dia qualche cosa da vivere nell’onesto1 ritiro, ove ho risolto di terminare i miei giorni.

  1. Ed. Zatta: dell’onesto.