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" Questa è una delle più belle, e rare Composizioni del celebre Signor Dottor Goldoni nella quale ha unito a meraviglia il morale, il lepido, e l’istruttivo, avendo in essa un particolar maneggio la loro serva Corallina, e il loro servo Arlecchino".

" Verrà la medesima decorata all’uso de’ Paesi ne’ quali si rappresenta la Favola, e oltre le apparenze, e le trasformazioni, sarà ancora adornata di più Balli ecc. ".

Il resto non ci serve. Senza dubbio la Compagnia de’ Comici che recitava nel gran Teatro Nuovo, ora Comunale, inaugurato nel 1763, era quella del Sacco, poichè recitava contemporaneamente il Re Cervo, e le Tre melarance, e l’Augel Belverde e il Mostro Turchino di Carlo Gozzi (come si vede dagli altri manifesti ivi pubblicati dal Ricci). E questo succedette probabilmente nell’anno 1773, poichè nel dicembre precedente quel capocomico, per mezzo del marchese Albergati, faceva chiedere al card. Branciforti Colonna e otteneva il permesso di recitare nella state ventura a Bologna (v. Collezione Tognetti - Notizie e scritti riguardanti Franc. Albergati, cartone II, presso la Bib.ca Comunale di Bologna). Tale manifesto riesce importante anche perchè ci conferma quello che risulta con nostra sorpresa dalle Memorie di Goldoni, cioè che il quarto atto della commedia e dello scenario svolgevasi a Venezia, non già a Tripoli di Barberia: Arlecchino non correva il pericolo di essere impalato, ma cadeva nell’acqua del canale con rischio di annegare, e perdeva tutto il suo denaro al giuoco (Mémoires, l. c.), e forse anche l’anello incantato, come dice Corallina nella 3a scena dell’atto V, che l’autore si dimenticò di correggere. — Quando composi la commedia - avverte il Goldoni - non era avvenuta la chiusura del Ridotto a Venezia, che si fece nel novembre 1774, nè i giuochi d’azzardo erano proibiti. Ci resta a sapere se il vecchio commediografo avesse già in quel tempo, quando scriveva le Memorie (1787), rifatto l’atto IV, o se aspettasse fino al giorno che spedi allo stampatore Zatta il manoscritto. Vero è che il tomo XII della 2a classe (commedie buffe in prosa) della famosa edizione, dove uscì per la prima volta il Genio buono e il Genio cattivo, porta la data del 1793 e dovette subire un lungo ritardo, non sappiamo se per colpa della censura veneziana o, come sembra, dell’autore. Lo Zatta, in un Avvertimento premesso al detto tomo, si scusa dicendo di non aver potuto ricuperare le quattro commedie che compongono il volume se non alla morte del glorioso vegliardo, il quale "superando gl’incomodi della età e le giornaliere occupazioni", non lasciava "di scorrere ciascuna delle sue produzioni, e di correggere in esse a suo talento tutto ciò ch’egli stimava degno di riprovazione". Per fortuna, poche e di lieve importanza furono sì fatte correzioni. Non si tratta di esaminare il Genio buono e il Genio cattivo come fosse un’opera d’arte (così dice anche Chatfield - Taylor nel suo Goldoni, New-York, 1913, p. 517). Questa commedia che ci fa assistere a trasformazioni ed incanti, come le Fiabe del Gozzi, e ci trasporta da un atto all’altro di paese in paese, dalle Alpi a Londra e a Tripoli, come i romanzi dell’abate Chiari, appartiene ai teatrini popolari dove i personaggi sono di stoppa e mostrano i fili che li muovono. Magherie e incantesimi erano del resto familiari alla commedia dell’arte in Italia e in Francia: maghi, negromanti, folletti, fate, ninfe, anelli