Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/158

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incantati, isole incantate, naufragi, trasformazioni di uomini, di mostri, di alberi ecc. abbondano negli antichi zibaldoni dei nostri comici, hanno parte non piccola nel regno bizzarro delle maschere (v. principalmente F. Neri, Scenari delle Maschere in Arcadia, Città di Castello, 1913, passim. — Al comico Bartolomeo Cavalieri che recitava con la moglie Giustina nel Teatro di S. Luca e che morì nel 1775, il Bartoli attribuisce varie commedie e fra queste una che s’intitola Il genio benefico, "con trasformazioni": v. Notizie istor. de’ Comici It.i Padova, 1782, t. I, p. 164). Lo stesso Goldoni aveva composto in Francia altri scenari, intitolati le Metamorfosi d’Arlecchino, l’Anello magico, le Cinque età d’Arlecchino e anche aveva trasportato Arlecchino e Camilla schiavi in Barberia. Arlecchino e Corallina tentati dal Genio cattivo ci ricordano (chi non voglia incomodare Adamo, Eva e il serpente) la favola di Prodico Ercole al bivio, raccontata di recente da Gasparo Gozzi nell’Osservatore e svolta ivi praticamente nella novella di Jacopo e la Sandra: e la loro seduzione ci richiama la leggenda popolare di Faust e Mefistofele. Ma è meglio non poggiare tanto alto, poichè a cotesta povera invenzione manca ogni poesia. Resterebbe la satira dei caratteri e dei costumi, ma anche questa riusci timida, stentata, convenzionale (il viaggiatore ridicolo: v. Pamela e il Cavalier Giocondo; il vecchio ufficiale: v. la Guerra; la caricatura dei costumi inglesi: v. il Filosofo inglese ecc.: cfr. Schmidbauer, Das Komische bei Goldoni, München 1906, pp. 144 e 149. — È facile scoprire nel personaggio di Polligrafo, nell’ultima scena, un’allusione a G. G. Rousseau e a qualche seguace del filosofo ginevrino). Solo un pubblico avvezzo alle macchinose tragicommedie del Chiari e alle spettacolose fiabe del Gozzi poteva con tanto calore applaudire alla favola mista del Goldoni ("Un pasticcio" la chiamò a ragione il nostro Musatti, Il Teatro Sociale di Oderzo, Venezia 1914, p. 8. — Per l’opposto Ernesto Masi trovò in questa commedia delle "parti vigorosissime e che indicano un vero ringiovinimento, che il viaggio di Francia aveva conferito al genio del Goldoni". E aggiunse che il Genio buono e il G. c. "quale specchio storico di costumi, specialmente Parigini del secolo scorso, e quale documento di un nuovo svolgimento dell’ingegno del Goldoni, ha una capitale importanza": l. c., pag. 158).

Tuttavia c’è dell’altro che dovette sedurre i buoni sudditi di S. Marco: intendo l’intenzione e la lezione morale. Non è gran cosa, ha in sè del puerile, ma aggiunta al diletto degli occhi, io credo che la morale di questa favola abbia prodotto grande effetto sugli animi dei Veneziani. Tutti quanti gli scrittori del Settecento insistono sull’efficacia morale del teatro: il teatro dev’essere per il popolo una scuola. — Ferdinando Galanti sospetta che "probabilmente nel Genio cattivo, vestito di nero con lunga barba e bacchetta in mano" il Goldoni abbia voluto "raffigurare Carlo Gozzi, il mago, il Genio dominatore" (C. G., Padova, 1882, p. 444); ma io proprio non riesco a vederlo. A chi legga la commedia (è ben strano che il Galanti e il Rabany, gli autori delle due più note monografie goldoniane, facciano viaggiare Arlecchino e Corallina a Venezia, come nel riassunto dei Mémoires) avviene piuttosto di pensare al creatore dei Pettegolezzi, delle Massere, dei Rusteghi, lontano e quasi sperduto nella capitale francese; e vengono in mente certe dolorose espressioni che all’esule veneziano sfuggivano qua e là nelle lettere che scriveva da Parigi,