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prima di essere nominato maestro di lingua italiana della principessa Adelaide. Come nell’Amor paterno e nel Matrimonio per concorso si sentiva quasi la riconoscenza verso la nazione ospitale, e la contentezza; così nel Genio buono e il Genio cattivo si sente l’amarezza, la delusione, il rimpianto (osservate nel secondo atto Anzoletto che difende la sua Italia dal falso giudizio degli stranieri; e udite quel grido improvviso d’Arlecchino: "Patria, patria, cara patria"). Come Arlecchino e Corallina, anche il Goldoni si era lasciato trascinare così lontano dai suoi ponti e dai suoi canali per la vaghezza degli onori e del guadagno, ma dopo le prime liete accoglienze, erano subito cominciati i guai da parte dei comici, e le seimila lire non bastavano per vivere a Parigi, e c’era quella misteriosa avventura con madamigella Méry (Campardon, Les comédiens du Roi de la Troupe Italienne ecc. Paris, 1880, 1, 250). Il Genio cattivo, il seduttore maligno, il Goldoni l’aveva dunque ascoltato dentro di sè, quando abbandonò l’Italia, ed ora sospirava: "Sei mesi mancano a finire il mio apostolato" (febbr. ’64). "Certamente non posso restare a Parigi e vi anderebbe della mia riputazione" (marzo ’64). "Amerei il riposo, ma io non sono in grado di lusingarmi di questo bene. Sono nato per faticare, e capisco che dovrò farlo fin che potrò. Quando non potrò più, sarò inutile, e per me, e per gli altri" (maggio ’64). Eccola qui la morale dell’ultima scena del Genio buono e il Genio cattivo: il tempio della felicità non è in nessun luogo e dappertutto "perchè l’avrete dentro di voi". "Ritornate al vostro stato primiero; ivi sarete contenti". Che sono mai "le ricchezze ed i piaceri al confronto della quiete e della innocenza perduta"? "Non vi paragonate collo stato altrui. Tutti in diversi modi hanno i loro beni, ma non tutti ne sanno far uso". — Così predicava da tempo a Venezia anche Gasparo Gozzi. È una filosofia secolare e volgare, ma appunto per questo soddisfa il popolo buono: è, su per giù, la filosofia di Renzo che servirà di conclusione ai Promessi Sposi.

Il Goldoni dunque aveva vinto il rivale, il conte Carlo, osando misurarsi con lui sul medesimo terreno, fuori della commedia realistica (v. Galanti e Chatfield-Taylor). Parve ai Veneziani del suo tempo che la "rappresentazione spettacolosa delle Fiabe" non fosse già imitata, ma corretta in questa sua commedia: corretta, se mai, da quel freno dell’arte che di lui aveva fatto il riformatore del teatro comico, non già "secondo il gusto francese" come immagina Ernesto Masi (Scelta di comm. di C. G., Firenze, 1897, II, 464). Sulla metà del gennaio del 1789 la Gazzetta Urbana Veneta (n. 5), compilata da Antonio Piazza, annunciava che sul teatro di S. Gio. Crisostomo si darebbe dopo molti anni di pausa, l’azione favolosa del nostro inimitabile Sig. Goldoni, intitolata Il Genio buono". E in fatti nel n. 6. (21 genn.) si notava la recita della famosa compagnia Battaglia e si lodava la commedia. Altre recite trovo anche più tardi a Venezia: 1 nov. 1801, teatro di S. Luca, comp.ia Fabrichesi e Gnocola (Giorn. dei teatri comici di Velli e Menegatti), 21 luglio 1805, teatro di S. Gio. Crisostomo, comp.ia Goldoni (l. c). 17 marzo 1823, S. Luca, compagnia dei Concordi (Gazzetta Privilegiata di Ven.). Una recita abbiamo nella cittadina di Oderzo, nell’autunno del 1825, da parte della comp.ia Andolfati (Musatti, l. c. sopra). Nel 1827 Ferd. Meneghezzi con strana confusione nominava Il Genio buono accanto al Burbero e alla trilogia di Zelinda e Lindoro, e osava aggiungere "che quantunque appartenga