Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/232

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Valerio, No, per dir il vero non gli ho mai parlato, so ch’era amico di mio padre, so che si trovavano spesso insieme; ma io non mi ci sono mai incontrato.

Marta. (Corre ad osservar alla porta se qualcheduno viene, e ritorna) Il signor Geronte è un uomo singolare, singolarissimo, di cui non si trova forse il compagno, è buono, generoso, del miglior cuore del mondo, ma altrettanto aspro e difficile.

Angelica. Oh! quest’è il suo vero ritratto1; per esempio, dice d’amarmi, so che mi vuol bene, ma quando lo vedo, quando mi parla, mi fa tremare da capo a piedi.

Valerio. Ma che vi resta a temere? Voi non avete nè padre, nè madre; vostro fratello dispone di voi; egli è mio amico; io gliene parlerò.

Marta. E voi vi fidereste del signor Leandro?

Valerio. Perchè no? Potrebbe egli negarmela?

Marta. Ho delle ragioni per credere, che vi sarebbe da lui negata.

Valerio. Come? è possibile?

Marta. Uditemi. In quattro parole, (torna ad osservare alla porta) Un mio nipote, giovine di studio del procuratore del signor Leandro, mi ha detto cose terribili sul conto suo; mi ha tutto detto, ma sotto la promessa fattagli, e quasi quasi con giuramento di non parlare, onde badate bene, non mi tradite, che non vorrei passare per una ciarliera.

Valerio. Non ne dubitate.

Angelica. Voi mi conoscete.

Marta. (Parlando a bassa voce a Valerio ed Angelica, avendo sempre l’occhio alla porta di Geronte) Il signor Leandro, il signor Dalancour, (un poco caricato) è un uomo rovinato, ha perduto il credito, ha consumate tutte le sue facoltà, e forse quelle ancora di sua sorella, e non potendo darle la dote, fuggirà le occasioni di maritarla.... e per dirvi tutto (ad Angelica) con ingenuità, con sincerità, con vera amicizia, ho inteso parlare in

  1. Anche qui il Goldoni aggiunge a modo suo.