Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/240

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Geronte. (Con la stessa vivacità) Finiamola; la casa che abitate, le persone colle quali vivete vi hanno forse offerta l’occasione di qualche genial conoscenza? Voglio sapere la verità. Sì, vi farò del bene, ma a condizione che lo meritiate. Intendete?

Angelica. (Tremante) Sì, signore.

Geronte. (Sempre con vivacità) Parlatemi con sincerità, francamente, avete voi qualche inclinazione?

Angelica. (Esitando, e tremante) Ma... non signore... non ne ho alcuna.

Geronte. Bene, penserò io a ritrovarvi un marito.

Angelica. (Da sè) (O cielo!... non vorrei...) (a Geronte) Signore...

Geronte. Che?

Angelica. Voi conoscete la mìa timidezza.

Geronte. Sì sì, la vostra timidezza! Conosco le donne; ora siete una colomba, quando sarete maritata, diverrete un dragone.

Angelica. Ah signor zio, giacchè siete sì buono...

Geronte. Non troppo.

Angelica. Permettetemi di dirvi...

Geronte. (Avvicinandosi al tavolino) Dorval non si vede!

Angelica. Una sola parola...

Geronte. Tutto è detto, andate.

Angelica. (Fra sè. partendo) (Eccomi più imbarazzata che mai!) Ah! spero che la mia cara Marta verrà in mio soccorso. Finirà ella l’opera ch’io ho sì mal principiata).

SCENA IX.

Geronte solo.

È una buona figliuola, io mi sento disposto a giovarle. Se avesse avuto qualche genio innocente, qualche prevenzione per un soggetto che lo meritasse, avrei cercato di contentarla; ma non avendo alcun attaccamento, vedrò... penserò... Che fa Dorval, che non viene? Muoio di volontà di rimettere il gioco com’era, e di scoprire il fallo che mi ha fatto perdere la partita;