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SCENA XII.

Dorval, Leandro.

Dorval. (Sorridendo) Che cos’è questo?

Leandro. (Con trasporto) È un tratto di vivacità incomprensibile; sono io l’oggetto della sua collera, e di queste sue ridicole convulsioni.

Dorval. (Sorridendo) Conosco l’amico Geronte.

Leandro. Sono mortificato per voi.

Dorval. Veramente sono arrivato in un momento critico.

Leandro. Compatite di grazia.

Dorval. (Ridendo) Oh! lo sgriderò, lo correggerò.

Leandro. Ah! caro amico, non vi è che voi, che possa essermi utile verso di lui.

Dorval. Lo desidererei con tutto il cuore, ma...

Leandro. Convengo che mio zio abbia ragione di farmi qualche rimprovero; ma se vedesse internamente il mio cuore, son certo che m’accorderebbe il suo compatimento.

Dorval. Sì, vi conosco, e credo che si potrebbe sperar molto da voi, ma la signora Dalancour...

Leandro. (Riscaldandosi un poco) Voi non conoscete mia moglie, e v’ingannate sul di lei conto, come mio zio e molti altri s’ingannano; convien ch’io le renda giustizia, e vi dica il fatto com’è. Costanza ignora perfettamente i disordini in cui si trovano gli affari miei. Ella mi ha creduto più ricco di quel che sono, le ho sempre nascosto lo stato mio, ci siamo maritati assai giovani, non le ho mai lasciato tempo di desiderare, di dimandar cosa alcuna, l’ho sempre prevenuta in tutto quello che poteva farle piacere, e da ciò è derivata la presente mia situazione.

Dorval. Contentar una donna? Prevenire i suoi desideri? L’impresa è considerabile.

Leandro. Sono sicurissimo, che s’ella avesse saputo lo stato vero delle mie facoltà, avrebbe ella medesima resistito alle spese superflue, che a suo riguardo io faceva.