Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/243

Da Wikisource.

235


Dorval. Una moglie saggia e prudente... Leandro, (Con calore) Eh! una giovine di diciotto anni...

Dorval. (Sorridendo) Povero Dalancour!...

Leandro. Che?

Dorval. Io vi compiango.

Leandro. Vi burlereste di me?

Dorval. No, ma voi amate prodigiosamente vostra moglie.

Leandro. (Un poco alterato) Sì, l’amo, l’ho sempre amata, l’ho sempre stimata, e l’amerò e la stimerò sin ch’ io viva. Conosco il di lei merito, e non soffrirò che le si dieno quelle imputazioni, ch’ella non merita.

Dorval. Adagio, adagio, moderate questa vivacità di famiglia.

Leandro. Scusatemi, ma quando si tratta di mia moglie...

Dorval. Basta così, non ne parliamo più.

Leandro. Ma vorrei che foste persuaso...

Dorval. Sì, lo sono.

Leandro. No, non lo siete.

Dorval. Ma sì, amico, tranquillizzatevi, e credetemi ne son persuaso.

Leandro. Se così è, di grazia interessatevi per noi presso mio zio.

Dorval. Gli parlerò.

Leandro. Quanto vi sarò obbligato!

Dorval. Ma sarà necessario di rendergli qualche conto della vostra condotta. Come posso io giustificarvi d’esservi ridotto sì rapidamente nello stato in cui m’avete detto voi stesso, che vi ritrovate al presente? Non son che quattr’anni, che vostro padre è mancato di vita; egli vi ha lasciato una eredità pingue e lucrosa. Come avete fatto in sì poco tempo a distruggerla?1

Leandro. Mille combinazioni, mille accidenti si sono succeduti in mio danno. Gli affari miei di famiglia cominciavano a vacillare. Ho creduto di rimediarvi, ed il rimedio mi è riuscito peggior del male; ascoltai de’ progetti, m’interessai in varie imprese, ipotecai le mie rendite, e tutto andò in perdizione.


  1. Anche Dorval è qui più loquace che nel testo francese.