Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/284

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Leandro. La povera mia sorella!

Geronte. (Da sé, commosso) (Ma che carattere è il mio! Non posso far durar la mia collera; due parole dolci, due lagrime, eccomi avvilito; ho ira contro di me medesimo, mi schiaffeggierei da me stesso).

(Tutti lo circondano, e ripetono tutti in una volta le loro preghiere colle stesse parole di sopra nominate.)

Geronte. Tacete; non mi stordite; non ne posso più. (forte) Che la sposi.

Marta. Che la sposi? senza dote?

Geronte. (A Marta con collera) Come! senza dote? Maritar mia nipote senza darle la dote! Conosco Valerio; l’azion generosa che si era proposta, merita anzi una ricompensa. Si avrà la dote, e le centomila lire di più, che le avea destinate.

Valerio. Quali grazie!

Angelica. Che bontà!

Costanza. Qual cuore!

Leandro. Qual esempio!

Marta. Viva il mio padrone.

Dorval. Viva il mio buon amico.

Geronte. (Grida forte) Zitti, basta, tacete, (chiama) Picard.

Picard. Signore.

Geronte. Che vi sia questa sera una cena per tutti. Tutti ceneranno con me. Dorval, intanto una partita agli scacchi.

Fine della Commedia.