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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/285

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NOTA STORICA


Per le nozze del Delfino con Maria Antonietta (1770) i poeti cantarono a prova. Toccò la sua lira anche il Goldoni (Memorie, III, cap. XV), ma gli parve che tanto evento richiedesse qualche cosa di più, o meglio credette giunto il momento di realizzare un sogno accarezzato già da lungo. Intorno al 1768 s’era sciolto un ritrovo settimanale d’amici, a lui caro anche perchè gli "era utile di vivere con persone che sapevano perfettamente la loro lingua". "Ambivo già allora" dice "di fare qualche cosa in francese: volevo provare a quelli che non conoscevano l’italiano che tenevo un posto tra gli scrittori drammatici, e sentivo che bisognava superar la prova o non accingersi" (ibidem, cap. X). Il matrimonio del Delfino tradusse l’ambizioso piano in realtà. Le doti della futura regina - assicura il Goldoni - conquistarono re, sposo e famiglia, mentre la sua grande beneficenza le cattivò presto l’animo della folla. "Questa virtù - la beneficenza - che è divenuta a’ dì nostri la passione dominante dei Francesi pare aver eccitato l’emulazione nelle anime sensibili dietro l’esempio di questa augusta principessa" (ibid. III, c. XV). Tra le anime sensibili vinte da quella passione fu pure il Goldoni che alla novissima idea sacrificò in questa occasione la sua prima commedia francese. Chi più benefico di Geronte? Bontà temperata sì di molta ruvidezza perchè la virtù pura e semplice, se nella vita edifica, sulla scena addormenta. "Mi venne il pensiero di comporre una commedia francese ed ebbi l’audacia di destinarla al Théâtre francais" (ibid.). L’aveva incoraggiato qualche suo amico francese, il Favart forse, di tutti a lui il più affezionato? Audacia grande davvero, perchè era venuto a Parigi con "cognizioni confuse e superficiali della lingua". Appena le lezioni che impartiva a corte lo costrinsero a studiare il francese un po’ sul serio. "Fu solo per mettermi in grado di spiegare gli autori italiani che procurai di sapere un po’ meglio il francese" dice egli nella dedica del Burbero alla sua allieva Maria Adelaide di Francia. Né gli sforzi del più che sessagenario scrittore furono vani. Concepì e scrisse la commedia in una forma, a cui gli stessi francesi non negano la lode (vedi più innanzi). "Ma non ebbi il coraggio d’esporla" - narra col consueto candore - " senza consultare persone che potevano insegnarmi e correggermi’ (Memorie, P. III, c. XVI). Egli si fece dunque "ricorreggere il suo francese da qualche valente e discreto amico", annota il Mazzoni (Mémoires, 1907, II, p. 447). Di che entità sia stata quest’opera di revisione è cosa che si sottrae all’indiscreta curiosità di postumi indagatori. Non si sa quando esattamente abbia avuto principio né quanto durò la composizione. Il primo accenno al Burbero è in queste parole d’una lettera, in data 16 marzo 1771, mandata dal Goldoni al Voltaire col tramite di Giuseppe Beltramelli di Bergamo (cfr. A. Fiammazzo. Due lettere inedite di Carlo Goldoni, Biblioteca delle scuole italiane, 1 ottobre 1898): "J’ai une grande nouvelle à vous donner, Monsieur et cher Ami.