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GLI AMANTI TIMIDI 21

Giacinto. Ciascuno ha il suo talento particolare.

Arlecchino. Ma come aveu fatto? Come diavolo m’aveu depento, senza che lo sappia? senza che me n’accorza?

Giacinto. Mentre il mio padrone dipingeva quello del vostro1, fingendo io di ripulire le tavolozze, lavorava guardandovi segretamente. Questo si chiama un ritratto rubato; e questa sorta di furti fanno onore ai ladri della mia abilità.

Arlecchino. Me consolo della vostra abilità. Tolè, amigo, e andè là che se un omo de garbo. (gli vuol render il ritratto)

Giacinto. Signore... (ritirandosi un poco indietro)

Arlecchino. Cossa?

Giacinto. Il ritratto è suo. Io l’ho fatto per vossignoria.

Arlecchino. Per mi?

Giacinto. La prego di riceverlo, e di aggradirlo.

Arlecchino. Ricusar un presente sarave un’inciviltà. No so cossa dir; no lo merito, ma ve ringrazio. (lo chiude)

Giacinto. Credo di aver impiegato bene il mio tempo per una persona come vossignoria.

Arlecchino. Tegnirò memoria de vu, e a Roma parlerò de vu.

Giacinto. (guardandolo attentamente) Tre o quattro giorni di lavoro li sagrifico assai volentieri. (mortificato)

Arlecchino. In verità, ve son infinitamente obligà.

Giacinto. La prego solamente di aver in considerazione la spesa dei pennelli, dei colori, dell’avorio, dell’astucchio, della legatura.

Arlecchino. Sior sì, gh’ave rason; no gh’aveva pensa. Quanto valerà tutta sta gran spesa?

Giacinto. Mi rimetto alla sua cortesia.

Arlecchino. (Ho capio). (da sè) Vedè ben, un povero servitor no pol corrisponder come meritè. (mette la mano in tasca)

Giacinto. Oh! signore... nè io pretendo ch’ella mi paghi il ritratto.

Arlecchino. Lo ricevo come un presente; e per le piccole spese, tolè. (gli dà un testone)

  1. Così l’ed. Bolognese e l’ed. Zatta. Nell’ed. Pasquali c’è per isbaglio: dipingeva il vostro.