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nostri esitarono un po’ tra collerico, bisbetico e burbero. Decise poi la quasi perfetta rispondenza fonetica: bubero benefico - bourru bienfaisant. Nessuna forza separa ormai il connubio di queste due parole, che il Littré accolse unite nel suo Dictionnaire, dichiarando: Un "bourru bienfaisant", homme qui, avec des manières rudes, ne laisse pas d’avoir un coeur bienveillant" (alla voce bourru). E il titolo fortunato accompagna ormai, quasi suggello, la celebrità del Goldoni in Francia, ed egli resta per antonomasia " l’auteur du "Bourru bienfaisant". Nell’ultima sua supplica per il ricupero della pensione si legge: "Ciò che mise il colmo alla sua felicità e alla sua gloria fu il suo B. b., che lo collocò nel repertorio della Comédie Française, tra i maestri dell’arte" (Neri, Studi bibliografici e letterari, pag. 254). Un richiamo al Burbero- eco che si spegne - è ancora in altra supplica del settantenne nipote che se ne vale come di efficace passaporto. "Egli s’onora di far sapere all’E.V. ch’egli venne in Francia l’anno 1762 col defunto Goldoni suo zio paterno, celebre scrittore italiano e autore del Burbero benefico" (ibid).

Il titolo fortunato si presta ancora a facili bisticci, come in questo passo della lettera del Clavière agli attori del Théâtre français per promuovere una recita della commedia a favore della famiglia: "belle comédie, interessante, inspirée par un grand esprit de justice et un tact moral excellent, n’est pas sans rapport avec nos circonstances. On nous force a etre bourrus, et il est utile de ne pas oublier que l’humeur n’exclut pas la bienfaisance" (17 febbr. 1793, Masi, Scelta, I, p. XVIII). E un bisticcio rimato di gusto abominevole ispira il titolo famoso a quel tedesco spirito bizzarro del Klein: "Il suo Bourru bienfaisantnel 1789 si cambiò in Bourreau malfaisant per i regali benefattori del canuto commediografo che riposava sugli allori del suo stipendio" (Gesch. des Dramas, vol. VI, I, pag. 637). Uso più garbato fece del titolo il Goethe là dove d’un suo professore di Lipsia scrive "dessen Gutmùtigkeit sogar polterte" [d’una bonarietà persino brontolona] avendo presente il titolo della commedia nella traduzione dell’Iffland (v. traduzioni).

Egualmente lontani sia da iperboliche celebrazioni che da verdetti capitali sono questi apprezzamenti sul Burbero, coi quali chiudiamo la lunga rassegna. Accanto alle commedie italiane "fulgide di colori veneziani" il Burbero sembra al Klein: "pittura a pastello" ma non vi mancano scene efficaci, designate con delicatissimo tocco, che scaturiscono nella maniera più spontanea dai caratteri e dalle situazioni. E cita ad es. quella bellissima tra Angelica e Dorval (Geschichte des Dramas, vol. VI, p, I, pag, 637). Coi Rusteghi e compagni veneziani meglio che con Geronte poteva il De Sanctis esemplificare il suo pensiero sui caratteri del teatro goldoniano. "C’è nel loro impasto del grossolano e dell’improvviso; anzi qui è la fonte del comico. Cadendo in nature di uomini non disciplinate dall’educazione paion fuori in modo subitaneo e senza freno o ritegno o riguardo, in tutta la loro forza primigenia, e producono con quella loro improvvisa grossolanità la più schietta allegria, tipo il B. b." (Storia della Letterat, italiana, ed. Laterza, II, 356). Meglio distinse il Settembrini: "Paragonate i Rusteghi e il Burbero che sono belle tutte e due. I Rusteghi è una commedia che fa vivere in Venezia, proprio fra quegli uomini, il Burbero non sapete a qual nazione appartenga, in qual tempo viva; è un uomo astratto, gli manca la verità reale" (Settembrini, Lezioni di lett.