Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1923, XXII.djvu/401

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Araminta. Sì, sì, accomodatevi, (a Dorimene) Vediamo un poco meglio questi diamanti. (Frattanto che il Conte legge la lettera piano, le tre donne restano occupate ad esaminare il fornimento di gioje.

Conte. (Da sè, dopo aver letto la lettera) Venga il malanno al signor marchese; dopo un pranzo di trenta persone, dovrei ancora preparar per lui una cena? E me la domanda sì francamente? Se sapessi come esentarmi.

Dorimene. Che avete, signor fratello? Mi parete agitato.

Conte. (Con allegrìa affettata) No, no. Ricevo anzi in questa lettera un annunzio che mi fa piacere. Il marchese del Bosco mi domanda da cena per questa sera.

Eleonora. (Da sè, con agitazione) Che sento!

Araminta. Il marchese del Bosco? Lo conosco. Il suo castello non è che tre miglia lontano dalla mia abitazione di campagna.

Conte. Voi lo vedrete qui questa sera colla marchesina sua figlia, e col cavaliere suo figlio.

Eleonora. (Da sè, ancora più agitata) Il cavaliere! oh cieli!

Conte. Spero che arriveranno a tempo per assistere alla soscrizione del nostro contratto.

Eleonora. (Ah qual momento! qual momento per me fatale!) Sento che il mio cuore... (Da sè, come sopra

Araminta. Che avete voi, mia figlia?

Eleonora. Niente, niente, signora. Un picciolo giramento di testa.

Conte. (Ad Araminta) Per amor del cielo, badate... Non partire. (a Frontino

Araminta. Sortiamo, sortiamo. L’aria vi farà bene1.

Dorimene. (Ad Aramtnta) Andiamo a passeggiar nel giardino.

Araminta. Sì. (con piacere) Andiamo.

Dorimene. È aperto il giardino, signor fratello? (al Conte

Conte. No, è chiuso, ma ecco le chiavi se le volete. (dà le chiavi a Dorimene

Dorimene. (Da sè, prendendo le chiavi) (Non si fida di nessuno: le

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