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GLI AMANTI TIMIDI 65

Roberto. Ma chi è? Che cos’è? Vediamo, se merita che un servitore onorato e fedele, come tu sei...

Arlecchino. Oh! per meritar, la merita molto più. Camilla sa chi la xe; ma Camilla no lo vol dir. Sior patron, sior Anselmo, siora Dorotea, ve prego tutti per carità, fe che Camilla parla, che la diga chi xe sta persona, chi xe st’amiga che voi el mio ritratto, che m’ha scritto una lettera, che m’ha fatto un presente, che me vol ben...

Dorotea. Oh! come Camilla vien rossa. (a tutti)

Anselmo. Ci scommetterei ch’è Camilla.

Dorotea. È Camilla senz’altro.

Camilla. (Povera me! Non so in che mondo mi sia). (da sè)

Roberto. Ma perchè non dirlo? Perchè non parla?

Dorotea. È timida, è modesta.

Anselmo. Fa la vergognosa.

Roberto. Animo, animo, figliuola. Arlecchino è un uomo dabbene, è un servitore onorato. (a Camilla) Ma via, parla, prega, accostati. (ad Arlecchino)

Arlecchino. Me vergogno.

Roberto. Sono cose da morir di ridere.

Anselmo. Orsù, finiamola. Vuoi tu maritarti, o restar fanciulla? (a Camilla, con calore)

Camilla. Maritarmi. (modestamente cogli occhi bassi e voce tremante)

Anselmo. Hai qualche genio per qualcheduno?

Camilla. Non lo so.

Anselmo. Ti vuoi maritare in questa casa, o fuori di questa casa?

Camilla. In questa casa. (come sopra)

Anselmo. Vuoi tu Carlotto?

Camilla. Signor no. (con più spirito)

Anselmo. Ma chi vuoi dunque?

Camilla. Vorrei... (modestamente, come sopra)

Anselmo. Ma parla.

Camilla. Eccolo qui. (fa vedere il ritratto d’Arlecchino, e si copre il viso)

Arlecchino. (Son mi, son mi. Camilla xe l’amiga, e mi son mi). (da sè, giubilando, e tutti applaudiscono)