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Pagina:Goldoni - Opere complete, Venezia 1928, XXVI.djvu/111

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Che è di là? (viene un servo) Guarda abbasso.

Che vi è una botte nuova.
Falla portar di sopra in questa stanza.
Rosalba. (Oimè, che dalle risa il cuor mi crepa).1
Giacinto. Signor, quest’è un licore,
Che facilmente esala;
Voi nella botte entrar dunque dovrete,
E farvi chiuder bene, indi la faccia
Bagnandovi e le mani,
Nel corso di mezz’ora
Forte, robusto e bel verrete fuora.
Triticone. Io nella botte entrar? Voi v’ingannate.
Rosalba. Se non fate così, voi non mi amate.
Triticone. Ah Rosalba, pavento
Di qualche tradimento.
Rosalba. Tradimento? perchè? dove son io,
Non temete di mal, dolce amor mio. (viene la botte
Triticone. Pur entrar mi convien. Che sarà mai?
Cara, già vinto m’han le tue parole.
Ecco Diogene, o bella, in faccia al sole.
(mettono Triticon nella botte
Rosalba. Entrato è il pazzo. Oh questa è bella assai!
Giacinto. Zitta, Rosalba, ed il più bel vedrai.
Triticone. Orsù via dunque, datemi l’ampolla.
Giacinto. Signor, v’arricordate
Cosa ieri vi disse l’indovino?
Triticone. Che ne sapete voi?
Giacinto. Tutto mi disse,
So ben ch’ei vi predisse,
Che la donna ch’amate
Alfin v’avria burlato;
Ecco il presagio2 suo verificato.
Triticone. Ma che discorso è questo?

  1. Nel testo: creppa; e più sotto: essala e fatte.
  2. Nel testo: prestaggio.