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Un voto alla Dea Tharata-Ku-Wha 73

fiammeggia sull’architrave delle case, sui tronchi delle palme, sulla testa degli elefanti e degli Zebù. Passando dalla luce abbagliante nei santuarî profondi si resta per alcuni attimi nella notte completa, poi si distinguono le lampade votive, i roghi fiammeggianti dinanzi alle divinità, il luccichìo dell’oro e delle gemme sulle braccia multiple, sulle tiare, sui seni mostruosi, sulle trombe elefantine. Colonne, arcate monolitiche lavorate come trine, pendono nell’ombra all’infinito e dalle vôlte buie giunge uno squittire continuo, un aliare silenzioso d’immensi lembi di stoffa nera: sono i vampiri-rossetta, i pipistrelli larghi come braccia umane distese, che di giorno pendono a migliaia dalle vôlte tenebrose e a notte si lanciano in razzia di frutti sulle piantagioni.

Riposiamo da forse mezz’ora, nell’ultimo santuario, alla sommità del tempio, seduti nella frescura semibuia, poichè di fuori il sole è già alto e terribile. Gli occhi si sono avvezzi alle tenebre. Vedo intorno le cripte delle divinità; ogni idolo è chiuso in una gabbia di ferro come un felino, e il braciere che arde dinanzi, anima quasi con il riverbero tremulo e sanguigno i volti spaventosi dei mostri.

— I miei bagagli! I miei bagagli!

Un uomo, un policeman indù ha sentito il