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Pagina:Gozzi - La Marfisa bizzarra.djvu/73

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canto terzo 63

23
     Ma vo’ che tu mi tenga in ciò che narro
uomo informato e storico fedele,
perch’io non vendo per frumento farro,
lasche per trotte o le zucche per mele;
che temo sempre l’occhio del ramarro,
o giungan dov’è buio le candele,
e se c’è fanfalucca, si discopra
per biasmo dello storico e dell’opra.
24
     Dico che un vento improvviso levato,
il cavai primo sciolto ritrovando,
che pareva un carcame figurato
e andava d’un trottino vacillando,
lo spinse con un soffio in un fossato.
Filinor esce col cocchier gridando
e dice: — Tristo! il tuo mestier non sai;
s’è morto il mio puledro, il pagherai. —
25
     La bestia s’era scavezzata il collo,
e si potè ben tirare e gridare,
che fu vana ogni voce ed ogni crollo;
Filinoro il cocchier vuol batacchiare.
Grida il cocchier scrignuto: — Io son satollo;
so ben dove la cosa ha a terminare.
Lei vuol le cento lire del salario
dipennar per la rozza dal lunario.
26
     Io n’ho stupore, e non sare’ dovere
voler jjer venti camuffarne cento;
oltre che non fu colpa del mestiere,
ma del rozzon semivivo e del vento. —
Filinor grida: — Come! a un cavaliere
un servo parla con tanto ardimento? —
Poi croscia in sulla gobba col bastone,
e due e tre e quattro delle buone.