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CAPITOLO XVII

Ritorno a Venezia colla famiglia dal Friuli. Seguo i miei metodi di vita e scelgo qualche sollievo giovevole alle mie osservazioni sul genere umano e sul mondo. Terze scoperte peggiori delle prime e delle seconde. Principio delle mie avversitá famigliari.


Il mese di novembre era avanzato e la famiglia si andava disponendo a lasciare la villa per ritirarsi a Veenezia.

Mi divertiva a contemplare l’apparecchio del nostro viaggio e del nostro bagaglio, differenti da quelli d’un generalato a’ quali era avvezzo.

Mio padre infermo; mia madre seria e politica; mia cognata donna d’affari; mio fratello Gasparo in astrazione; tre sorelle custodi delle lor cuffie poco moderne; mio fratello Almorò mesto di abbandonare gli augelletti e le gabbie, ch’egli raccomandava al castaldo, con una specie di testamento; io coll’aspetto marziale senza proposito; alcune serve ed alcuni servi con delle cattive livree; alcuni gatti ed alcuni cagnoletti, formavano la compagnia viaggiatrice, non dissimile dalle viaggiatrici compagnie de’ commedianti.

Diranno alcuni che averei potuto non esporre nelle Memorie della mia vita tanti oggetti e tanti quadri d’umiliazione.

Nelle veritá delle vicende della mia famiglia non ho trovate giammai indegne azioni, e la sola ambizione de’ poco filosofi, anzi de’ nulla filosofi, vede il rossore e la imprudenza dove non sono, e non li scorge dove sono e dove il vederli sarebbe opportuno.

La nostra brigata, sempre scherzevole e sempre ridente, giunse a Venezia e prese alloggiamento con quel disordine e con que’ disastri che si possono avere in un ricinto bel corpo, ma senza viscere.

Scelto da me uno stanzino nel piano piú alto dell’abitazione, rassettato un tavolino mal in gamba, provvedutomi un vasto