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182 memorie inutili


Le comandai di venire per lo meno tre o quattro mesi alla casa paterna, promettendole che, s’ella persisteva nella sua volontá, ch’io appellava sacro fanatismo, l’avrei servita d’essere il di lei carnefice. Mi rispose con un serio entusiasmo, il quale mi fece ridere, d’essere stata nel secolo abbastanza per conoscere la cattiveria del mondo, e perch’io insisteva a voler ch’ella uscisse, chiuse le sue opposizioni con una poco celeste pertinacia, dicendomi che non l'averei tratta dalle sue grate se non la traeva a pezzi. Bench’io non credessi questa risposta dettata dagli angeli, abbassai il capo per non dare uno scandalo. Fu appagata e nella vestizione e nella professione, con quelle spese e que’ livelli che occorrono a dar delle spose a Gesú Cristo.

Se contemplassi gli affanni che sofferirono e che soffrono le altre quattro mie sorelle maritate, de’ quali affanni sono informatissimo, dovrei dire che quella ragazza abbia pensato meglio delle altre; ma i sistemi del secolo rovesciano troppa vergogna sulle spalle di chi fa de’ riflessi, i quali non contengono che delle veritá. Vidi le mie quattro sorelle maritate sempre in angustia e sempre piangenti con tutta l’indole dolce che avevano e la sofferenza estrema della quale erano capaci. Ne ho veduta, con mio dolore, morire una miseramente, ottima e giovine, per la sola ragione d’essersi maritata, e scorsi sempre la monacella amata dalle suore, tranquilla ognora, ridere di quelle cose che noi, raffinati ne’ diletti e non mai trovatori d’un diletto solido, appelliamo scempierie, e rallegrarsi a que’ piccioli regaletti che noi, filosofi ammaestrati nell’aviditá, si avvezziamo a non curare ed a disprezzare. Ella fu innalzata coll’andare degli anni all’onore del sommo grado di abadessa nel suo monastero, ed ho creduta piú lei contenta di quel grado, che Luigi decimosesto contento del grado di re della Francia e della Navarra.

Tutti i semi delle dissensioni delle nostre famiglie parevano spenti. Le altre mie due sorelle, Laura e Girolama, s’erano maritate con quella vitalizia contribuzione che avevano e con certe ragioni dotali che sarebbero in loro pervenute dopo la morte d’un decrepito zio conte Carlo Badini, ch’era rimasto usufruttuario d’una dote di diecimila ducati d’una sorella di mio padre, sua