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258 memorie inutili

nell’arte e qualche amante non comico e agiato, che facendosele mogli le traesse da un mestiere che tutte le femmine teatrali giurarono sempre di abborrire, senza ch’io credessi a’ loro giuramenti.

Alla mia vista (riguardo a me) gli amori di quelle ragazze non erano che duelli di spirito e de’ tratti comici che mi spassavano. Tutte parenti e tutte gelose dell’avvanzamento nell’arte comica, mi guardavano come un pianeta adorato da’ principali della compagnia e capace di porle in trionfo colle mie sceniche invenzioni.

La gara che avevano tra esse per vincersi nella bravura e ne’ pubblici applausi, e della quale io mi valeva per vantaggio di loro medesime, della compagnia da me soccorsa e dell’opere mie, le faceva dicervellare per guadagnarsi il mio cuore. Avevano forse qualche altra mira suggerita da Imeneo, della quale fui sempre attento con delle chiarissime dichiarazioni a spogliarle.

La loro attenzione, le loro proteste, le loro collere, le loro gelosie per me, e talora i lor pianti avevano tutta la scenica illusione di svisceratezza.

In tutte le cittá dove passavano la primavera e la state rappresentavano questa scena medesima con parecchi amanti. Alla loro venuta in Venezia, un carteggio di lettere che tenevano con gli amanti che avevano dovuto abbandonare, carteggio che proccuravano indarno di celare, palesava la loro comica incostanza.

Le mie gioviali cancelleresche interrogazioni acute, i miei costituti suggestivi, e infine le loro confessioni mi chiarivano e mi facevano ridere saporitamente. Protestavano che le lettere che avevano ricevute e alle quali rispondevano, erano di giovani mercanti o di ricchi cittadini, e talora di cavalieri torinesi, milanesi, parmigiani, modenesi, genovesi, ecc., i quali avevano una viva onorata intenzione di sposarle, ma che quelli attendevano la morte, chi d’un zio, chi d’un padre, chi d’una madre, chi d’una moglie, tutti presso che agonizzanti d’apoplesia, d’etisia, d’idropisia.

Finalmente, per farmi conoscere il cuor loro sincero, ché la bugia non poteva piú soccorrere, mi facevano leggere le lettere