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parte seconda - capitolo iii 259

che avevano ricevute e che ricevevano dagli esteri amanti. Forse speravano di destare in me della gelosia.

Nuova sorgente di divertimento per me. Leggeva le lettere amatorie a loro dirette. Trovava i loro amanti o Caloandri o romanzieri o libertini e, con mio stupore, de’ lombardi ipocriti beccarellisti.

Le illuminava al possibile. Le consigliava a non perdersi in quelle pericolose frascherie che le sviavano dallo studio maturo della lor professione, e ad attendere de’ giovani comici abili per stabilire con quelli de’ nodi coniugali che popolassero la colonia comica. Mostravano tutto il ribrezzo al mestiere, come fanno tutte le femmine sceniche, che sono sceniche anche in questo ribrezzo.

Per far loro conoscere la cecitá in cui vivevano, dettava loro le lettere di risposta per gli amanti, astringendoli affettuosamente a dichiararsi nell’essenziale. Giugnevano delle risposte fredde, e passavano pochi ordinari che non si vedevano piú risposte. Per tal via si chiarivano del loro errore, senza lasciare di ripigliarlo.

I loro affetti per me, al dir loro, erano i piú solidi, e le mie risa incredule le offendevano.

Si opprimevano e malignavano reciprocamente sulla professione, si querelavano e si accusavano al mio tribunale, dove trovavano d’aver il torto tutte, ma le piú oppresse erano da me le piú protette tuttavia.

Alcune parti da me scritte sul loro carattere nelle opere sceniche ch’io donava, le innalzava alle stelle. Quanti obblighi! quanta riconoscenza! quanti amori! Non so negare che in alcuni momenti non dovessero lusingarsi della mia tenerezza. Il giorno dietro mi trovavano totalmente diverso, indifferente, freddissimo. L’amor proprio le faceva dar nelle furie ed accendersi piú quando mi vedevano ridere delle lor smanie.

È però molto difficile il frequentare la conversazione con delle comiche ragazze, le quali hanno nell’anima sei libri d’arte amandi oltre a quello di Ovidio, l’essere loro quotidiano assistente, consigliere, maestro e cagione della loro comica sorte,