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160 memorie inutili


Un’ottima camera, che m’addobbai a misura della scarsezza mia pecuniaria, e una cucina formavano tutto il mio albergo. Mi faceva servire da un soldato per poco onorario, il quale aveva ordine da me d’andarsene al di lui quartiere la sera, lasciandomi un lume acceso.

Rimaneva soletto, mi coricava tenendo un lumicino con qualche libro, leggeva, indi sbadigliava, indi dormiva.

Mano al mio primo amore, ch’io narrerò con accuratezza forse noiosa, ma per avvertire l’inesperienza de’ giovinetti.

Rimpetto alle mie finestre in qualche distanza abitavano tre sorelle, di nascita nobili ma d’una povertá che niente aveva che fare colla nobiltá. Un loro fratello uffiziale, ch’era anche lontano, le soccorreva di poco, e de’ lavori donneschi ne’ quali le vedeva occupate davano loro qualche sussistenza. La maggiore di quelle tre grazie non sarebbe stata brutta se gli occhi suoi, ognor scerpellini e orlati di scarlatto, non avessero offuscato il di lei splendore. La seconda era veramente uno di que’ diavoletti che devono piacere. Non alta di statura, ma ben formata, brunetta di carnagione. Le chiome sue erano nere e lunghe, gli occhi nerissimi e brillanti. Nel suo contegno modesto spirava una robustezza e una vivacitá seducente. La terza era ancora picciola, ragazzetta spiritosa e di fattezze di buono o cattivo preludio.

Io non vedeva quelle tre ninfe che per accidente nell’aprire una finestra su cui mi lavava le mani e quando le loro finestre erano aperte, ch’erano aperte di rado.

Mi salutavano con un decente abbassare di capo, ed io corrispondeva con altrettanta decenza e serietá. Notava però la seconda sorella diavoletto che, ogni volta ch’io apriva la mia finestra per lavarmi le mani, ella apriva immediatamente la sua per lavarsi le mani nel punto ch’io lavava le mani mie, e che salutandomi abbassando il suo bel capo fissava poscia in me i suoi begli occhi neri in un contegno come d’astrazione e con un certo languore da poter lusingare un ragazzo. Sentiva qualche solletico nel mio cuore; ma le mie riflessioni austere mi guarivano, e senza mancare di civiltá mi teneva stretto ad una grave indifferenza.