Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/296

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269 perdìè non si sta egli nel luogo suo? B. 5. Niuna persona VI pub entrare^ B. 6. Io ui wiU porvi costi dove voi sie-te. B. 7 Questa gente rimira iui D. 8. Quiri trovò un gio-* vane lavoratore* B, Noi abbiamo di tre sorte arverbj dimostrativi di luogo, cioè, c/| quì^ e quà^ per dinotare il luogo io cui sta il dicitore; costì e costà^ per esprimere quello nel quale si tro« ya la persona a coi si parla o si scrive; vi^ ivi^ quivi, là^ e colà^ disegnano il luogo lontano e da chi parla e da chi ode. Fa vergogna il vedere nelle scritture epistolari italiane quanto, generalmente, siano malmenati e confusi questi avver-> bj; usandosi. ^mVi per qui, quasi fossero equivalenti, costì e costà in luogo di qui e quà^ e ci per vi; benchè ci e vi siano iadistiotamente usati anche dagli autori; perciò che il ci del primo esempio accenna luogo lontano dal dicitore. Si usa CI per lo luogo vicino, e vi per lo luogo lontano^ quando non si vuol porre enfasi in su Tavverbio; e gli altri, quando la enfasi in su Tavverbio è necessaria. Havvi lì che pure dinota il luogo della persona a cui si parla; e talvolta quello che fa precedentemeute nominato nel discorso. Il Firenzuola, quell’uom senza nome^ entrate lì in quella porta che è aperta il Petrarca, Pur lì medesimo assido me freddo; e Dante, Percotevansi incontro^ e poscia pur li. là Amenta vuole che qua accenni luogo più universale, come paese, regione, provincia, e^ più particolare, come piazza, stanza; e che ciò si trovi principalmente nel Boccaccio. Ora, questi disse, parlando della Francia: Io sono per rìtrarmi del tutto di qui; e par che intendesse di tutta la franca regione, poichè Ser Musciatto, cui fa dir queste pa-* role, era per recarsi in Italia con Messer Carlo Senzaterra; e