Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/297

Da Wikisource.

Sk’JO altrove, di un laogo particolare dice, venite qua. Non è danc[ue tal differenza tra qui e qua. Ancora crede i*Ainenta che ne* composti formati di questo avverbio e delle preposizioni su^ già^ in e di^ qui non possa aver luogo; ma il medesimo esempio del Boccaccio ne prova potersi dire d£ qui. Ciò è ben vero delle altre tre preposizioni che si legano più volentieri con qua. Io non tolgo l’accento col qaale si segnano questi due avverbii, come fanno alcuni, perchè mi pare una inutile novità, essendo rocchio uso a vedervdo notato» Si legge nel Boccaccio, yedi coinè tosto serrò Puscio dentro^ come io ci usci e così in Dante, Onde noi amendue possiamo uscirci; donde pare che si possa adoperare ci ancor nel senso di di questo e di quel luogo; nondimeno io avviso che si lasci una tal licenza alla poesia; e non si confondano nella prosa questi tre avverbii ne^ ci% e p/, i quali disegnan tre luoghi distinti. I • Non ce mestier lusinga. D. 2% Ce n^è una che è mol* to corta. B. 3. Deh! compagno mio^ vAvrt^ e sappimi dire come sta il fatto. B. 4«Nella città di Capsa in Barberia fU già un ricchissimo uomo che ebbe una figlioletta bella e gentilesca. B* 5. Non sono moki anni che in Firenze fa una bella glossane nominata Elena. B. La Crusca dice che ci è qualche volta riempitivo, e ci« tando Tesempio Naturai ragione è di ciascuno die ci nasce ecc., aggiunge che e/, iu questo caso,si potrebbe prendere per quà^nel mondo. Io non dubito che possa essere altrimenti; e finora non mi è capitato solf occhio un solo c< riempitivo. Nel primo esempio sigoiGca quì^ in questo luogo; nel secondo sta pur bello stesso senso, ed è mutato 11 ci in ce n cagione