Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/368

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34 1 Sapete die le fanciidlc le maritano i wcini; Non f Jio io detto che la dieta Vha a guarire? ponendo Tenfasi sopra le favole fanciulle % vicini^ dieta; ciò non ostante Taltra espressione è bella e buona italiana a cagione dei due dimostrativi quei e quella. Ma il dire come il Monti* Non è alla scuo^^ la della Fortuna^ ma deW avversità che i nostri pari $1i re ) apprendono qualche cosa^ in luogo di non alla scuola della Fortuna^ ma a quella delfaiversità i nostri pari apprendo* no qualche cosa^ è un gallicismo da fuggirsi come tutti gli altri, e pur troppo ridonda nelle scritture moderne; quelTè e quel che non facendo altro che snervare la frase, e torte la leggiadria e la semplicità italiana. Al contrario, la preposizione a e il dimostrativo quello sono mal sottintesi. £ cosi il medesimo dice: Edi qui è che questo pros^erbio ser^ ^e per lo pia in significato di far la spia; ove,togliendo quel* Ve che^ quanto meglio il dire: e quindi questo proverbio ser* veì £ anche F. B. da & Concordio ha: Non è per mia col^ pa che spessamente mando a {foi pregare; ma questo non fa forza; però che io mi sono accorto che molti che scrivono, nè sanno far uso delle nostre belle espressioni, energiche, vive, e ardite, nè sentono la forza loro. A chi s^è fatto l’uso di dire Non è per mia colpa cJie mando; E di qui è che que^ sto proverbio serve^ non gli par finita la proposizione se sente non per mia colpa mando; quindi questo proverbio ser^ ^e; e non la sa leggere, per essere troppo uso all’altro raoio in cui trova i due appoggi è e che; onde, in questo nettar che io fo i gallicismi, non miro tanto ad espeller questi, guanto a ricovrare le nostre locuzioni assai più belle e che )cr quelli cran obbliale.