Pagina:Grammatica filosofica della lingua italiana.djvu/371

Da Wikisource.

344 più freno alla corruzione; che quando un esempio bastasse a rendere italiana una voce una espressione, prendendone un qua, un altro là, in questo in quell’aUro classico» sì troverria (i) da rieoipiere l’italiano di gallicismi; senza che, quel che talvolta è bello usato con riserva e parcamentei di« venta catlivo per abuso. Il Boccaccio fece uso assai di questo ci o w con ai^ere^ e bisogna che gli ferisse molto Toreccliio quando fu mercatante in Parigi, donde ci recò anche il gua^ ri; ma sono alcuni che par non sappiano prendere dal ricco tesoro che in lingua egli ci lasciò, altrochè questo hashvi, e ci ha^ e t^i ebbe* Io apro il purgatìssimo Galateo del Casa, e mi corre alla vista: E sappi che in Verona ebbe già un i^escOiH) inolio swio di scrittura e di senno naturale. Bello e grazioso, dico, è quell’ebbe^ per esser di rado usato, ma il chiamerei brutto e vizioso se di continuo vel trovassi adoperato; come di continuo trovo usarsi perF.B.daSXoo* cordio tutto senza articolo, alla francese: E lasciarono tutta superbia^ e tutta lor vanità^ e tutte delicatezze» £ chi negherà che il dire: E lasciarono ogni superbia ^ ogni lorva^ ìiitàn e tutte le delicatezze^ non sia migliore? Questo ognuo vede e sente; e il volere imitare sì fatte cose altro non mostra che affettazione, con danno del buono stile. Ma si vuol notare che così come nel Francese Tespressione j-’-asfoir non porta mai il plurale, dicendosi il-jr^i/d jT’^ut; e non H’-jr-orU^ il-jr^eurent^^ così nè anche in italiano s* ha a poter usare nel plurale; e il Boccaccio non 1* ha mai se non nel singolare; come si vede per questi suoi esempj. Quante donne sf’avea^ che s^e n" ay^ea assai; Ebbe%^i di que^ (i) Il Boccaccio raddoppia spesso la l’ncUc contrazioni del condizionai modo» e mi piace*